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Non si tratta più di “credere”

José María Vigil

 

Adista Documenti n° 41 del 30/11/2019  

..). Negli ultimi millenni, per un buon numero di religioni, la religiosità e la spiritualità sono consistite fondamentalmente nel “credere”, nell'accettare un certo insieme di credenze, per quanto potessero sembrare inverosimili o addirittura assurde, confidando ciecamente in Dio. E credere consisteva essenzialmente nella sottomissione della persona, della nostra comprensione. Così, la fede era una delle virtù fondamentali, senza cui era impossibile fare cosa gradita a Dio.

In una società sempre più segnata dalla scienza, non ha più senso una religiosità centrata sul credere, sulla rinuncia alla ragione, sulla sottomissione. (...). Le nuove generazioni si meravigliano del fatto che vi sia stata un'epoca in cui la religiosità fosse intesa come “credere a ciò che non si vede” (...). La spiritualità può essere da loro vissuta solo a partire da un sistema operativo differente.

Integrazione dei dualismi, senza più due piani diversi

È da 5-7.000 anni che viviamo con una visione scissa del mondo, dalla fine dell'età del rame, quando sono apparsi i primi miti sulla separazione del cielo e della terra. Ciò ha comportato la schizofrenia (esquizós frenós, mente divisa) del nostro mondo e della visione che ne abbiamo, ma, soprattutto, la grande scissione della Realtà: l'espatrio della divinità verso un cielo fuori dal mondo, da una parte, e la desacralizzazione e l'indebolimento della natura e del cosmo, dall'altra. Da allora, indeboliti anche noi, siamo vissuti alienati, dipendenti da un piano superiore capace di accaparrarsi tutto il valore fino ad allora risieduto in questo meraviglioso cosmo, e in noi con esso. Questa divinizzazione del cielo con la corrispondente demonizzazione della terra e della carne è stata una caratteristica millenaria dominante della religione-spiritualità, almeno di quella occidentale.

Con l'avanzare della conoscenza, la tendenza è a invertire quella schizofrenia introdotta con la separazione in due piani. Stiamo cercando di recuperare l'unità, di operare il riscatto della Terra e del cosmo. La spiritualità smette di essere del Cielo per tornare della Terra; smette di essere delle anime per appartenere anche ai corpi, all'essere umano integrale. La vita dell'anima, la salvezza dell'anima, l'andare in cielo o l'evitare l'inferno fanno parte di un tipo di religiosità in via di superamento. (...). Procediamo verso il riscatto di una spiritualità centrata sulla Sacralità della Realtà cosmica, del nostro Oikos Sacro, non più su un cielo immaginato al di sopra delle nubi o nel retro ontico della metafisica. In campo religioso si cercritica cherà pertanto di vivere come ciò che siamo, come Terra giunta a pensare, a conoscere, ad adorare, a riscoprirsi come Gaia, cosmo cosciente e sacro in evoluzione.

Svuotamento dottrinale-dogmatico

Nel loro desiderio di dominio, le religioni – e in particolare il cattolicesimo in quanto erede dell'impero romano – sono cadute nell'ossessione di elaborare la propria dottrina, de omni re scibile (in qualunque materia della quale si possa trattare), come dottrina ufficiale, ortodossa. Vale a dire: il controllo del pensiero di fronte a chiunque dissenta, considerato automaticamente eretico. (...).

Nella nuova epistemologia, la religione non ha motivo di avere una verità propria, una dottrina ufficiale, allo stesso modo in cui non ha un'opinione medica, o astronomica, o biologica proprie. In nessun campo la religione ha qualcosa da insegnare, qualcosa da imporre: essa dipende dal sapere autonomo dell'umanità, elaborato secondo i metodi della scienza, al di fuori di ogni imposizione dei vecchi criteri di tradizione, rivelazione o autorità. La ricerca della verità è un dovere e un diritto di libertà: nessuna religiosità è possibile a partire dal sacrificio dell'intelligenza o della libertà.

Spiritualità post-teista

Il sistema operativo teista tradizionale di molte delle nostre società religiose degli ultimi millenni è entrato da tre secoli in una crisi di legittimità epistemologica. Attualmente sembrerebbe una crisi terminale. I tempi per credere nei miti di separazione del cielo e della terra, con un inquilino esterno ma pronto a intervenire, collocato su un piano superiore, stanno volgendo al termine. Sono milioni i credenti che hanno smesso di credere in un theós perché non trova posto nella loro testa (problema epistemologico). Le istituzioni ecclesiastiche – inclusi il clero e la teologia ecclesiastica – si mostrano in generale incapaci di archiviare e riconvertire un concetto tanto tradizionale e radicato nel popolo semplice, di modo che l'emorragia di fedeli di livello epistemologicamente più critico, soprattutto tra i giovani, prosegue, e in maniera piuttosto grave. (...). I tempi sono post-teisti, o, come precisano alcuni autori, "anateisti", tornando (aná) al Sacro Divino dopo aver superato il concetto ellenistico (theós). Cosicché la riconciliazione tra cristiani e atei, per esempio, non è solo possibile, ma reciprocamente benefica. Già ai tempi di Pio XII, Teilhard de Chardin sognava il superamento non solo del theós greco, ma anche del dio paleolitico che Teilhard vedeva nascosto dietro di esso.

Spiritualità post-religionale

È ormai comune, accettata nella cultura generale delle società avanzate, la distinzione tra spiritualità e religione, generalmente sconosciuta fino a non molti anni fa. Si ritiene che la religione, per la sua stessa natura, non abbia posto nella società che sta andando incontro alla propria metamorfosi spirituale. I dati statistici lo confermano: la spiritualità umana è viva, il suo interesse è persino in aumento, ma ora funziona con un sistema operativo non "religionale".

Che fare?

• Il primo atteggiamento richiesto sarebbe quello di diventare consapevoli di tutto ciò, per vedere realmente ciò che sta avvenendo epistemologicamente nell'attuale umanità in trasformazione, invece di guardare solo indietro, verso lo stagnante e intoccabile "deposito della fede". Tirar fuori insomma la testa dalla sabbia, cioè aprire la mente oltre le categorie giudaico-greco-romane in cui è stato rielaborato il cristianesimo del III e IV secolo, auto-proclamatosi rivelato da Dio, auto-definito ex cathedra, immodificabile. Superare questa prigione epistemologica in cui ci siamo auto-confinati e liberare dall'oppressione epistemologica tante persone che si sentono soffocate dal racconto biblico e da una dottrina scritta sulla pietra e accumulata sulle loro spalle.

• Il problema più grave che soffre concretamente la Chiesa cattolica è proprio la sua epistemologia ufficiale, che, nell'attuale fase dell'evoluzione umana, appare assolutamente obsoleta, inaccettabile in qualunque università, riconducibile a un immaginario medievale di rivelazioni metafisiche e soprannaturali oggi inverosimile. Secondo i suoi documenti ufficiali degli ultimi quaranta anni – ancora in vigore – essa possiede la verità completa ed esclusiva e persino le sue stesse elaborazioni, una volta solennemente proclamate, hanno il sigillo della verità eterna e restano così "legate nel cielo", diventando immodificabili, perché partecipi dell'immutabilità della verità rivelata, e vincolanti per tutta l'umanità, con i conseguenti conflitti delle gerarchie con la società civile, a cui si vuole imporre la morale esplicitamente cattolica anche in temi di etica civile.

Questa è ancora l'epistemologia ufficiale. Sotto il pontificato di Bergoglio molti principi di questa epistemologia neppure vengono più citati; sono tirati in ballo solo dai suoi nemici. Ma sono ancora lì, ufficialmente in vigore, e possono tornare in primo piano in qualunque momento, insieme alle calzature rosse conservate nell'armadio.

• Occorre elaborare una teologia della liberazione epistemologica per contribuire all'emancipazione dall'oppressione epistemologica, aiutando a capire che non si tratta di una moda progressista, ma di un imperativo di coscienza. (...). Questo lavoro teologico deve contribuire a smantellare l'enorme edificio dogmatico che pesa sulla istituzione stessa e di fatto la paralizza. Si tratta di un'urgenza. La conversione epistemologica – ho scritto altrove – è forse la più grande conversione richiesta ora alla Chiesa.

• Per i formatori di opinione, i catechisti, gli operatori di pastorale... è importante segnalare l'urgenza di un cambiamento di linguaggio, lasciando da parte già diverse cose.

Dico solitamente che tanto quanto studiare i nuovi paradigmi, le nuove visioni dei problemi, è importante prendere coscienza delle tante cose dette per secoli, anche per più di un millennio, che non si possono più continuare a ripetere: esempi, simboli, anche frammenti biblici. Ricordiamo come dopo il Concilio Vaticano II, traducendo i salmi, venissero eliminati frammenti che, fino ad allora recitati in latino, erano rimasti in ombra, ma che, una volta tradotti, brillavano in tutta la loro perversione: «Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra» (Sal 136). Letti con la coscienza attuale, vi sono molti altri testi, anche biblici, che non possono più essere letti e proclamati come "Parola di Dio", bensì come parola umana su Dio. (...).

• Si deve approfittare di qualunque occasione per avvicinarsi a comunità aperte in cui sia possibile porre tali questioni. Non lo si farà in un confessionale nascosto nell'oscurità di una cappella laterale di un vecchio tempio, né in una qualsiasi parrocchia, ma in comunità aperte, critiche, adulte. Quelle, per esempio, che, se non trovano tollerabili i testi liturgici ufficiali della messa, si prendono la licenza, perfettamente legittima, di "celebrare la memoria di Gesù" (non la messa) in una maniera più libera e creativa, che è qualcosa che non è mai stato proibito.

Non è vero che, nel cristianesimo, tutto ciò che non viene imposto è vietato. Non si deve giocare con i sacramenti ufficiali, ma se la Chiesa, inesplicabilmente, li mantiene anchilosati, con riti e testi di cinque secoli fa che traboccano di teologia medievale obsoleta, i cristiani hanno il diritto di celebrare la memoria di Gesù («fate questo in memoria di me») in altra maniera, senza interferire con il sacramento.

• (...). Sono milioni e milioni – lo dicevamo all'inizio – le persone che si sono viste obbligate in coscienza ad abbandonare il cammino ecclesiale di Gesù per seguirlo senza dover credere alle favole, che non è mai qualcosa a cui può obbligare Dio. Sono milioni le persone che spesso vanno avanti sole, senza una comunità, fuori dall'intera Chiesa istituzionale. Ma hanno un grande merito: si sono sentite costrette a scegliere e hanno optato consapevolmente per la via più difficile, andando avanti per la loro strada senza la Chiesa. (...). Da qui, da questa nuova società, in questa fase dell'evoluzione, in questo nuovo tempo assiale, crediamo che si debba dire, con san Giovanni della Croce: «Qui non c'è più cammino...». E con Machado: «Camminando si apre cammino»