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Cristianesimo senza miti

Ferdinando Sudati

 

Adista Documenti n° 41 del 30/11/2019  

(...). L'opzione del simbolico

Ai fini di questa riflessione non è necessario stilare l'elenco dei miti accolti nel cristianesimo. Di alcuni si è già fatto sommario accenno. Allo stato puro, o mimetizzati, si trovano a tutti i livelli, in particolare nella Bibbia, nella liturgia e nei simboli di fede. L'argomento comincia ad affiorare esplicitamente anche nei titoli di recenti opere dovute a teologi di estrazione cattolica, quali G. Lorenzo Salas, Una fede incredibile nel XXI secolo. Il mito del cristianesimo ecclesiastico e Salvador Freixedo, Il cristianesimo, un mito in più.

Titoli così emblematici e, diciamo pure, dirompenti, se non sono – e non lo sono – uno stratagemma di mercato, hanno lo scopo di segnalare qualcosa di serio: la difficoltà, per non dire l'impossibilità, per il cristiano d'oggi di conciliare il dato di fede e la visione scientifica del mondo. Illudersi che si possa andare avanti semplicemente rinfrescando la tradizione ereditata e ignorando lo sviluppo della conoscenza nella nostra epoca, con le sue forti esigenze logico-razionali, non sarà di alcun aiuto e, in particolare, non cambierà lo stato della situazione.

Per questo, molti credenti che si trovano nella "zona di confine" tra l'antico e il nuovo paradigma culturale-religioso, e sono pienamente consapevoli che indietro non si torna, hanno fatto l'opzione del simbolico: per salvare la loro integrità e conservare in qualche modo la loro fede, hanno trasferito su di esso la quota prima assegnata all'interpretazione letterale e alla visione statica del sistema religioso tradizionale. Ciò ha consentito a sempre più cristiani, cattolici in particolare, di continuare a dire il credo la domenica nelle loro comunità di culto, a celebrare i sacramenti e, in una parola, a restare nella Chiesa senza un intollerabile dissidio interiore. Con più simbolo e meno lettera tentano di integrare nella loro vita una dimensione spirituale ancora importante, in attesa che qualcosa evolva.

Questa soluzione è, per certi aspetti, una via di fuga, e potrebbe perfino essere tacciata di doppiezza, ma intesa come scelta provvisoria, mentre ci si trova nella zona di confine tra il vecchio e il nuovo, è indubbiamente positiva.

C'è un'altra ragione che la giustifica: il nostro linguaggio è sempre lontanissimo dal cogliere il suo oggetto che, in ultima analisi, è il mistero di Dio di cui siamo parte, e verso il quale ci muoviamo a tentoni. Su uno sfondo di dimensioni galattiche, le distanze delle nostre posizioni si riducono, le differenze si assottigliano, e si è indotti a tolleranza e comprensione. Questo non deve suonare a elogio dell'immobilità, dal momento che i ritardi storici non sono né innocenti né innocui, quanto essere un invito a sfuggire l'idolatria, perché solo gli idoli si possono racchiudere negli schemi mentali umani. E nessuno oggi può avere la pretesa di definire Dio.

Il simbolico ci salverà? Senza farsi troppe illusioni, un po' ci salverà, in questa fase di transizione e a patto di non scambiarlo per la realtà ultima ma di considerarlo come un indice puntato nella sua direzione.

Il senso del nostro limite

Ci sono cose, che sarebbero di primaria importanza per pacificare la nostra mente, che non sappiamo e forse non sapremo mai. Cosa c'era prima del Big Bang? Dell'essere umano conosciamo i rudimenti e dell'Universo ignoriamo ancora molto o la gran parte, e rimaniamo del tutto all'oscuro quanto alla sua origine e al suo scopo. Uno studioso invita a immaginare i circa 14 miliardi di anni della storia dell'Universo compressi in un solo anno. Il risultato è sorprendente:

«La galassia della Via Lattea si è auto-organizzata a fine febbraio; il nostro sistema solare è emerso dalla polvere stellare elementare di una supernova esplosa all'inizio di settembre; gli oceani del pianeta si sono formati a metà settembre; la terra si è risvegliata con la vita a fine settembre; il sesso è stato inventato a fine novembre; i dinosauri sono vissuti per alcuni giorni all'inizio di dicembre; le piante da fiore sono esplose sulla scena con un'abbagliante gamma di colori a metà dicembre; e l'universo ha cominciato a riflettere consapevolmente attraverso l'essere umano, con possibilità di scelta e libero arbitrio, meno di dieci minuti prima della mezzanotte del 31 dicembre... Abbiamo infatti saputo di essere la terra che pensa se stessa solo negli ultimi secondi».

Veniamo a qualcosa che più c'interessa:

«Su questa scala di 12 mesi, Gesù sarebbe nato il 31 dicembre alle 23:59:45. Le grandi scoperte scientifiche di questo secolo sarebbero avvenute nell'ultimo secondo dell'anno ». L'espediente di riprodurre nelle proporzioni di un nostro anno solare l'enorme arco di tempo che la scienza assegna al dispiegarsi dell'Universo ci fa capire che gli esseri umani con il loro passato storico sono un'entità trascurabile sulla bilancia del tutto, sebbene siano qualcosa di unico, per quanto ne sappiamo, a motivo dello sviluppo dell'intelligenza e dell'autocoscienza. (...).

Il dato quantitativo non è un criterio di verità, ma le conoscenze sull'origine e sulle dimensioni dell'Universo fornite dalla nuova astronomia e cosmologia ci riportano al senso delle proporzioni e servono a farci capire che dobbiamo uscire dalla favola e modificare la nostra concezione di Dio e, conseguentemente, il modo di vedere il mondo, la storia e l'essere umano. Come umanità, e ancor più come individui, siamo la precarietà e l'inconsistenza assoluta.

A questo punto, come persone religiose, dovremmo cominciare a stupirci di aver preteso di sapere tutto di Dio, perfino i suoi più riposti pensieri e, scusandoci di averlo così rimpicciolito, trarne le dovute conseguenze: rispetto e tolleranza verso le altre culture, fedi e religioni; capacità di relativizzare quanto costituisce il proprio patrimonio culturale e religioso.

L'operazione riguarda specialmente la Chiesa cattolica, una Chiesa-Stato che dispone di una Curia con almeno sessanta organismi, che spaziano su tutti i settori del sapere e del potere, sebbene quest'ultimo sia affidato soprattutto all'apparato statale vero e proprio, che dispone anche di nunziature, cioè di rappresentanze diplomatiche di stampo politico-religioso, in tutto il mondo. Il principale organismo curiale, la Congregazione per la dottrina della fede, si è pronunciato un anno fa su quando e come è lecita l'isterectomia (Responsum del 10-12-2018); e qualche mese prima una sua Lettera su alcuni aspetti della salvezza cristiana (22-02-2018) s'intitolava Placuit Deo, un incipit preso da Efesini ma di sapore autoreferenziale. Se nella Curia romana si è a conoscenza di ciò che piace a Dio ci sarebbe solo da rallegrarsi, ma la storia non sembra confermare questo, tenuto conto delle volte che ha dovuto, fortunatamente, rettificare i suoi pronunciamenti.

Comprensibile, per tale istituzione, la difficoltà a rinnovarsi, a uscire da un involucro sacrale-mitologico, che offre "sicurezza", per entrare con meno garanzie nel nuovo tempo assiale, età di conoscenza e radicale cambiamento. A chi obietta che simile impresa rischia di vanificare il cristianesimo, si può rispondere che è difficile renderlo più vano di quanto stia diventando, e con prospettiva di peggioramento. Il rischio, del resto, è scongiurabile, almeno in parte, non cercando di conservare ciò che è morto ma solo intensificando l'impegno a realizzare il lascito più urgente e attuale di Gesù. Ne è già stato fatto un accenno sopra (cfr. § 6), ma vediamolo ora compendiato dal teologo J. M. Castillo:

«I cristiani dovrebbero ritenere, con maggiore chiarezza, vigore e fermezza, che la teologia cristiana non ci ha fatto capire bene una cosa fondamentale: la Chiesa ha dato (e continua a dare) più importanza alla Religione che al Vangelo. Non dimentichiamo che è stata la religione a uccidere Gesù. Perché Gesù ha dato più importanza all'"umano" che al "religioso". Nella "teologia narrativa" dei Vangeli, ciò che è più chiaro e più evidente è questo: quando Gesù ha affrontato il dilemma di porre rimedio alla "sofferenza umana" o di sottomettersi alla "osservanza religiosa", non ha esitato un momento, la prima cosa è stata sempre dare la vita, alleviare il dolore, restituire dignità e diritti agli esseri umani. La cosa è chiara: troviamo Dio nella misura in cui diventiamo profondamente umani. Solo allora possiamo essere veramente "divini"». Già agli albori del cristianesimo un seguace di Gesù scriveva: «Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo» (Gc 1,27). Gli esempi si possono moltiplicare: da san Paolo, «qualsiasi altro comandamento si ricapitola in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Rm 13,9), a rabbi Hillel (I sec. d.C.), «Non fare al prossimo ciò che è odioso per te. Questa è tutta la legge, il resto ne è l'interpretazione. Va' e impara!». Il compito enorme di testimoniare l'amore del prossimo in un mondo di egoismo e d'ingiustizia terrà pienamente occupati i cristiani, se lo vorranno, per i prossimi mille anni, solo per riferirci a un lasso di tempo in cui la specie umana, pur candidata alla sesta estinzione di massa che interesserà la Terra, potrebbe essere ancora in circolazione.

La ricerca della verità

Molto di quanto scritto sin qui potrebbe apparire una tardiva riproposta dell'arsenale critico e perfino antireligioso che ha sfoderato le sue obiezioni già agli inizi del cristianesimo, rinnovandole lungo i secoli. Quando, però, gli interrogativi ritornano è segno che non hanno ricevuto risposta soddisfacente, o che non è più soddisfacente in un diverso retroterra culturale e in un diverso panorama storico-sociologico. Gli interrogativi sono di fatto nuovi perché nuove e diverse sono le aspettative, ed esigono quindi di essere affrontati in modo nuovo, con l'accuratezza consentita dagli strumenti culturali a disposizione oggi.

Dovrà fare da preziosa compagnia il motto programmatico di un teologo del XIX secolo: «Cercate la verità, da qualunque parte possa venire, costi quel che costi». Colpisce positivamente la perfetta corrispondenza con una dichiarazione di papa Francesco: «Seguiremo la strada della verità, ovunque possa portarci».

Il papa si riferisce allo smascheramento della pedofilia in ambito clericale, quindi a una verità che riguarda i fatti, ma il criterio vale ugualmente, ed è ancora più stringente, quando si tratta della verità teorica e dottrinale. Il motto del teologo della Virginia forse andrebbe così riformulato:

«Ognuno cerchi ciò che gli sembra verità, in unione d'intenti con tutti quelli che cercano ciò che a loro sembra verità». Perde in bellezza aforistica e diventa più prosaico ma fa al nostro caso, che è quello di chi è consapevole che anche la migliore buona volontà non garantisce dal rischio di cercare la verità nella direzione sbagliata o con strumenti non idonei. Proporsi, tuttavia, di cercarla, con perseveranza, integrità e rispetto è decisione fondamentale, sebbene la ricerca non si concluda mai. La verità, però, alla fine s'impone da se stessa ed è liberante.

La ricerca della verità in ambito religioso, forse più che in altri ambiti, è fonte di disagi, sofferenze, conflitti, giudizi, e anche condanne. Gli argomenti qui toccati sono speciali per attivare tali dinamiche, ma i tempi stanno maturando.

Se le credenze dei cristiani, cattolici in particolare, non saranno ripulite da miti e fallacie, non c'è speranza di dare un futuro al cristianesimo che non sia residuale. Per quanto importante sia stata in passato la nostra tradizione religiosa, oggi, così com'è, costituisce un ostacolo per la fede e la spiritualità. È la fine di un mondo, ne sta nascendo un altro, si può solo passivamente rassegnarsi oppure partecipare e contribuire all'evento.

A un mondo nuovo serve un cristianesimo nuovo. Al cristianesimo nuovo serve episteme: una rinnovata teoria della conoscenza, unita a probità intellettuale. Non sarà la morte del cristianesimo ma solo l'addio alla fase agrario-autoritaria e simbolico- mitologica di una religione. Risuoni, a conclusione, l'avvertimento di Spong: «Se il cristianesimo, come religione, deve sopravvivere, deve sviluppare una comprensione del divino che abbia senso nel XXI secolo. Questa è diventata la nostra massima priorità»