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NOTE AL CATECHISMO

ANGELI E DEMONI

Ortensio da Spinetoli

da Tempi di Fraternità

La tradizione ebraico-cristiana pone da tempo o da sempre l’esistenza di esseri intermedi tra Dio e l’uomo. Essi sono buoni e cattivi, angeli e demoni.

Il Catechismo non può non confermarlo. Anzi definisce "l’esistenza degli angeli una verità di fede" (n. 328). Non fa tuttavia la stessa precisazione per quanto riguarda l’esistenza del diavolo.

1. Gli angeli

La parola greca "anghelos" significa messaggero, annunciatore, portatore di notizie. In questo caso da parte di Dio all’uomo. "Notizie" di ogni genere, stando alla tradizione biblica, ma sempre benefiche, sia per gli individui che per la nazione.

Le storie primordiali, quelle dei giudici, come dell’infanzia di Gesù sono segnate da presenze angeliche. Ricompaiono nelle composizioni edificanti (Tobia) e largamente in testi della letteratura apocrifa giudaica (Testamenti dei XII Patriarchi) e nelle apocalissi (Enoc, Baruch, IV di Esdra) compresa quella di Giovanni. È pure semiapocalittico il discorso escatologico di Mt 25, 31 che annunzia "la venuta del figlio dell’uomo con tutti i suoi angeli", come si riallaccia alla tradizione giudaica la Lettera ai Colossesi (1, 16) che arricchisce il panorama angelico con la menzione "dei Troni, delle Dominazioni, dei Principati, delle Potestà". L’autore della Lettera agli Ebrei ricorda che gli "spiriti sono incaricati di un ministero".

La chiesa ha ereditato questa tradizione ebraico-biblica; l’ha ribadita nei suoi documenti, nella liturgia con la festa di particolari angeli (Michele, Gabriele, Raffaele) e degli angeli custodi. Per questo il Catechismo può concludere. "Dall’infanzia fino alla morte… la vita umana è circondata dalla loro protezione e intercessione" (n° 336). Cita quindi una frase di Basilio di Cesarea in cui si afferma che "ogni fedele ha a proprio fianco un angelo come protettore e pastore per condurlo alla vita". E conclude. "fin da quaggiù la vita creata partecipa nella fede alla beata comunità degli angeli e degli uomini uniti in Dio" (n° 336).

2. I demoni

Questi perturbatori del piano di Dio compaiono già nella tradizione o trattazione del peccato originale. "Dietro la scelta disobbediente dei nostri progenitori c’è una voce seduttrice che si oppone a Dio la quale per invidia li fa cadere nella morte. La Scrittura e la Tradizione della Chiesa vedono in questo essere un angelo caduto, chiamato Satana o diavolo. La Chiesa insegna che all’inizio era un angelo buono, creato da Dio" (n° 391). A commento si cita un comma del Concilio Lateranense IV.

Il Catechismo cerca di addurre anche le basi scritturistiche della proposta ecclesiastica, ma non sono molte. Cita il "peccato degli angeli" richiamando la 2Pt 2, 4 dove si dice che "Dio non ha risparmiato gli angeli che avevano peccato ma li ha precipitati nel Tartaro" e ilo testo di Gv 3, 8. "il diavolo è peccatore fin da principio", anche qui non è, chiaro se l’evangelista faccia riferimento ad un peccato proprio, personale di Satana o invece pensi all’azione seduttrice svolta nei confronti dei progenitori. Infatti al cap. VIII Giovanni lo chiama "padre della menzogna" e si riferisce chiaramente all’inganno teso ad Adamo ed Eva. (v. 44).

Non è citato per fortuna Is 14, 12 sulla caduta di "lucifero" (simbolo del re di Tiro), né è fatto un esplicito richiamo ad Ap 12, 3-17, al combattimento cioè tra Michele e il dragone e alla precipitazione di quest’ultimo sulla terra. (cfr. tuttavia i nn° 391; 2852-2853).

L’identità di Satana non sembra ammettere dubbi, meno chiara invece è la sua funzione. Bisogna arrivare al termine del volume per trovare una sua più precisa presentazione. "Il male non è un’istituzione; indica invece una persona, Satana, il Maligno, l’angelo che si oppone a Dio" (n° 2851). La sua missione, se così si può dire, è segnalata dal suo nome. "Il diavolo (dia-bolos, colui che si getta di traverso) è colui che vuole ostacolate il disegno di Dio e la sua opera di salvezza compiuto in Cristo" (n° 2851).

"Omicida fin da principio", "menzognero e padre della menzogna" (Gv 8, 44), "Satana che seduce tutta la terra" (Ap 12, 9) "è a causa sua che il peccato e la morte sono entrati nel mondo" (n° 2852). Si prova persino a distogliere Cristo dal cammino assegnatogli dal Padre nel battesimo, quello del servo sofferente (Mt 3, 21) per un percorso umanamente più allettante, segnata di potenza, di prestigio e di gloria (Mt 4, 1-11) (n° 394).

Tuttavia a conforto del credente è ricordato che "il potere di Satana è (sì) grande, ma non è infinito". "Egli non è che una creatura potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura" (n° 395).

Tutta la sicurezza sulla realtà e attività satanica sembra attenuata da una riflessione prudenziale sul "grande mistero" costituito dalla "permissione divina dell’attività satanica" anche se poi inspiegabilmente si aggiunge che "tutto concorre al bene di coloro che amano Iddio" (Rm 8, 28) (n° 385). Almeno una parola di consolazione anche se non pienamente tale.

3. La visibilizzazione di Dio

Il Catechismo non è certo scritto per ingenerare dubbi nel cuore e nella mente del credente, ma avrebbe dovuto pur tenere conto di quelli che i dubbi già ce l’hanno e non riescono a rimanere persuasi da i ragionamenti teologici correnti. A costoro invece di continuare a ripetere o a reimporre "verità" insicure, almeno discutibili sarebbe stato forse più opportuno aiutarli a gestire tranquillamente la loro libertà di coscienza pur con una ferma adesione a Dio e alle sue autentiche proposte che non sono poche e non sempre facili ad accettarsi e che non coincidono con i dati culturali di determinati uomini e popoli.

Il problema angelico è innanzitutto un problema ermeneutico, imperniato cioè sul valore del linguaggio biblico e delle concezioni filosofiche o teologiche degli autori sacri. Anche se si è davanti ad un "libro ispirato" è sempre da distinguere la portata della notizia proposta, del messaggio dalla interpretazione che ne dà l’autore sacro. Se la "notizia" o il "messaggio" possono essere ritenuti "veri" (per il credente), l’interpretazione è solo un veicolo culturale, un mezzo di comunicazione locale, perciò relativo e contingente.

La Bibbia stessa lascia a volte incerti sull’identità angelica. L’espressione "angelo di Jhwh (mal’ak Jhwh) in alcuni testi, per di più antichi, sta per Dio stesso (cfr. Gn 16, 7ss; 21, 17ss; 22, 11ss; 31, 11ss; Es 3, 2ss; Gdc 2, 1ss). Quando si tratta di aspetti della realtà divina l’autore chiama in causa Jhwh, quando fa riferimento alle sua "manifestazioni esterne" fa menzione dell’ "angelo di Jhwh". Ciò fa supporre che l’angelo è piuttosto un’antropomorfizzazione di Dio stesso. L’angelo in questa ipotesi è un tentativo di esplicitare il mistero di Dio, di renderlo come visibile e percepibile. Invisibile per sua natura egli acquista una sembianza corporea, capacità di agire, di parlare, di dare consigli, ammonizioni, messaggi, di benedire o di minacciare, di brandire una spada, una falce, di spargere carboni, di suonare una tromba.

La preoccupazione più viva dell’autore sacro è rendere più vicina, evidente e convincente la presenza nascosta di Dio e lo fa ipotizzando una sua personificazione che lo mostri in diretto contatto o a colloquio con l’uomo. Si può sempre ammettere la presenza di un intermediario tra Dio e l’uomo ma non aggiunge nulla di più di quanto dica la fede nella presenza e provvidenza di Dio stesso.

Il dato essenziale, in tutti i modi, per il credente non è l’angelo ma colui che è dietro le sue eventuali sembianze, colui che egli nel caso rappresenta o presenta, Dio. Quello che sostiene la fede dell’uomo è sapere di avere Dio dalla propria parte, quasi a fianco, pronto a venire in suo aiuto, a liberarlo dai pericoli, dalle situazioni difficili. Che egli lo faccia in persona o tramite suoi inviati è la stessa cosa. Tanto il suo messo non opera di autorità o potestà propria. Sul piano pedagogico la presenza di un messaggero è certamente più viva e più efficace ad alimentare la fede del credente dell’invisibile e inimmaginabile presenza di Jhwh.

La predicazione popolare, come la teologia ha bisogno di concretizzare i messaggi astratti per renderli accessibili alla moltitudine dei fedeli. La presenza inoppugnabile (perché "visibile" anche se solo letterariamente) dell’angelo conferma che l’aiuto, la risposta, il messaggio viene sicuramente o ha una provenienza garantita, attestata dal messaggero divino. Come nell’esperienza sinaitica la nube luminosa, anche se nessuno l’aveva mai vista, annunciava e confermava la fede che Jhwh camminava con il suo popolo e lo proteggeva dai pericoli e dai nemici.

Il discorso sugli angeli è molto più esteso di quanto possa essere qui sviluppato, ma la Bibbia è un libro di pietà popolare più che un trattato di filosofia e parla degli esseri angelici come delle "apparizioni divine" (teofanie) per rispondere ad esigenze catechetiche più che a quesiti teologici. Ma anche ammesso che gli autori sacri avessero una concezione personalistica degli angeli, li ritenessero creature intermedie tra l’uomo e Dio ciò non basta per avvallare la dottrina sulla reale esistenza degli esseri angelici, poiché rimane sempre difficile, impossibile stabilire se si tratta di una loro opinione, di una comune concezione a cui si fa ricorso per far pervenire i suoi messaggi, oppure di una proposta, di un annunzio trasmesso in nome di Dio e da parte di Dio. Una chiara risposta non verrà mai, quindi rimane biblicamente insoluto il problema della realtà angelica. E il confronto con le culture circostanti induce a pensare che si tratta di una concezione comune più che di un dato "rivelato".

Non è solo al Bibbia a supporre l’esistenza di spiriti buoni nella vita umana e cosmica ma è un bagaglio che ricompare in molte culture se non in tutte. È la teoria degli spiriti del bene e degli spiriti del male che sono presenti nella vita di ogni uomo e di ogni popolo. Ciò induce più a pensare che si tratta di un bisogno, di un’esigenza dell’essere umano di avvicinare a sé la divinità più che una presenza di esseri intermedi.

"Quando un uomo è nel pericolo non invochi né Michele, né Gabriele, ma soltanto me e io gli risponderò", si legge nel libro delle Berakot (Benedizioni 13, 9) a sottolineare le riserve che il giudaismo avanzava sulla diffusa dottrina degli angeli.

3. Gli spiriti cattivi

L’inequivocabile esistenza, potenza, invadenza del male sembra avvalora l’ipotesi di una sua obiettiva esistenza. Se il male è una realtà deve avere un suo principio, una causa prima, un punto di partenza. Dato che non può essere Dio stesso o una divinità a lui antagonista il teologo ebraico ha pensato ad un essere subalterno che non ha accettato di sottostare al suo dominio.

Un’ipotesi affascinante che ha sedotto poeti, filosofi e apocalittici ma altrettanto improbabile o addirittura impossibile. Certamente l’immagine di un Prometeo che si ribella e alza la voce contro Giove o di potenti che tentano la scalata al trono dell’altissimo è suggestiva ma è solo epica, mitologica ordinata ad alimentare la fantasia popolare verso imprese ardimentose. "Audentes fortuna iuvat" dicevano le massime sapienziali correnti; agli ardimentosi cioè arride la buona sorte.

Il "lucifero" biblico, il dragone, Satana, il diavolo è verosimilmente uno di questi esseri ribelli che hanno osato sfidare la potenza e l’autorità stessa di Dio. La figura della creature ribelle è anche la più opportuna a risolvere il problema del male. Solo che è una ribellione singolare, inspiegabile, assurda. Non si vede innanzitutto dove, in quale fonte, documento se ne parla; non si comprende in secondo luogo il perché, la motivazione di questa alzata d’ingegno, di questo pazzo attentato all’autorità di Dio. Da ultimo non si riesce a capire come una volta sconfitto Satana rimanga egualmente l’arbitro degli eventi storici e umani, addirittura un "principe" di questo mondo. Non è un vinto, ma piuttosto un vincitore. Non ci sono ragioni per ammettere la presenza e meno ancora la missione che gli autori biblici sembrano attribuire al Maligno.

L’ipotesi di forze malefiche, di spiriti cattivi come di spiriti buoni, esistenti al di fuori dell’uomo e capaci di influire sulla sua vita e sul suo agire fa parte del bagaglio culturale, filosofico e religioso, di molti popoli, per non dire di tutti. Nel mondo greco le credenze popolari attribuivano ai demoni la possibilità di recare ogni forma di male, fino a prendere possesso delle potenze spirituali dell’uomo (cfr. Luciano, Orat. 32, 76; Filone, Vita di Apollonio, 3, 38,138; 4, 20,157). Dietro qualsiasi disgrazia come dietro qualsiasi colpo di fortuna c’è sempre l’opera di un demone perverso o benevolo.

La Bibbia tuttavia non dà largo spazio agli spiriti malvagi; solo nel periodo postesilico (cfr. Tob 8, 8ss) e nella successiva fase giudaica la credenza nei demoni trova libera circolazione. La demologia è pari diffusa dell’angelogia. Se da una parte si trovano i serafini, i cherubini, i troni, le dominazioni ecc. dall’altra compaiono gli "shedim" (i potenti, i siognori), i "mazziqim" (quelli che fanno danni), i "mekhabilim" (quelli che rovinano), i "pega’im" (gli assalitori), i "se’arim" (i capi), o semplicemente il "ruah raah" (lo spirito cattivo, il "ruah" (lo spirito).

L’unico compito di questa moltitudine di esseri consiste nel disturbare la vita degli uomini, danneggiando la loro vita fisica, psichica, spirituale e morale. Negli scritti di Qumran o del giudaismo contemporaneo al vangelo esiste la convinzione che gli uomini si lasciano guidare o dallo spirito della luce o da quello delle tenebre (Belial) (cfr. 1Qr S 1, 18; 3, 17,25; 4, 1-11; 13, 11). Sono le stesse concezioni e convinzioni attestate nel nuovo Testamento. Si tratta di potenze sovrumane che conoscono persino i segreti di Dio e il mistero del suo particolare inviato Gesù Cristo (Mt 8, 29; Gc 2, 19). Potenze che hanno l’unico compito di ostacolare la realizzazione dell’opera della salvezza, il bene, la felicità dell’uomo, le sue buone relazioni con Dio (Mt 4, 1-12; Ap 12, 9-17).

4. Persone o personificazioni?

Se i testi dell’antico e del nuovo Testamento in cui si parla degli spiriti maligni, di Satana e di operatori analoghi sono presi in senso letterale come è stato sempre fatto nel corso dei secoli, l’esistenza demoniaca non sembra ammettere dubbi. Di qui la sicurezza e l’insistenza con cui la tradizione teologica e la predicazione comunitaria abbiano ribadito una tale proposta e si trovi riespressa apoditticamente nel nuovo Catechismo (nn. 391-395).

Il male è il problema che ha sempre assillato e assilla la mente dell’uomo ma Satana non sembra la risposta più pertinente e più convincente e soprattutto intonata con la sapienza e la bontà divina.

Il primo discorso è anche qui soprattutto ermeneutico. Si tratta di capire cioè la portata di un linguaggio che è dato per storico mentre potrebbe essere soltanto simbolico. Il male è una realtà scottante, ma troppo misteriosa per poterne cogliere subito la provenienza. Pur non conoscendone l’origine e la natura, gli autori sacri ne parlano in termini concreti, percepibili, ben evidenti. Le forze del male hanno un nome, un volto, un’organizzazione, una sede. Hanno le stesse sembianze e gli stessi sensi dell’uomo; vedono, sentono, parlano, possono per questo sedurre, ingannare, perdere l’uomo. Il male è certamente reale ma ciò non induce automaticamente a pensare che siano reali anche i "personaggi" che secondo gli autori sacri ne "incarnano" la potenza. Non l’immediata spiegazione, né la più plausibile. Potrebbe invece trattarsi di semplici "materializzazioni", ovvero personificazioni didattiche idonee a colpire più profondamente i sensi e quindi l’intelligenza del credente.

La raffigurazione o mitizzazione della potenza demoniaca è anteriore alla cultura israelitica e alla rivelazione biblica. Il dualismo infatti è una concezione comune ai popoli del bacino mediterraneo e del Medio Oriente con i quali Israele condivide la sua esistenza. Il demonio o Satana è il "personaggio" che appare in tutte le religioni e le tradizioni popolari antiche e moderne. Ciò potrebbe far propendere per l’obiettività della sua esistenza, dato che tutti l’ "avvertono" ma potrebbe anche essere il comune tentativo di dare una risposta a un problema reale. Questo è senz’altro oggettivo, mentre Satana potrebbe essere il tentativo di una risposta. Potrebbe apparire la più spontanea e la più immediata ma non la spiegazione, al risposta in assoluto, poiché non nasce dall’analisi e dalla conoscenza del male ma da un’esigenza psicologica di vedere raccolta in un’immagine determinata, ben delineata, le forze che si oppongono alla realizzazione dei propri piani, della propria felicità.

5. Una presenza irragionevole

La tradizione ha visto in Satana un protagonista della storia, accanto a Dio e accanto all’uomo, ma non è di aiuto a nessuno dei due, anzi è di fastidio a entrambi. Non ha in se stesso una ragione della sua esistenza perché è un essere infelice, irrequieto, destinato a trascorrere la sua eternità nella disperazione e nell’odio. Non sarebbe certo un aspetto, un punto esaltante del progetto creativo. Nell’eventualità che fosse un angelo ribelle, responsabile della sua disgrazia e della sua infelicità alla fine è sempre un addebito alla bontà e alla sapienza divina che ha dato l’esistenza a delle creature di cui prevedeva "la caduta". Aveva ragione Marcione di dire che non è un Dio buono. Se un comune padre prevede o sapesse che suo figlio potrebbe nascere mongoloide si asterrebbe sempre dal generarlo. Farebbe la stessa cosa anche se prevede che sarebbe cacciato colpevolmente in una condanna che l’avrebbe privato sempre della sua felicità. Se l’avesse fatto lo stesso sarebbe stato un padre incosciente, o peggio malvagio.

L’ipotesi tradizionale del peccato originale cioè della trasmissione dell’eventuale colpa dei progenitori a tutti i loro discendenti si va rivelando improbabile, ovvero improponibile oltre che per le ragioni interne al testo biblico, per le stesse motivazioni teologiche che vengono qui ricordate. Se la felicità, il bene di miriadi e miriadi di uomini fosse stata condizionata a un anello così fragile della catena sarebbe stato un piano in partenza insensato, malevolo, malvagio.

Prima di fare affermazioni gravi, imperdonabili, bisogna cercare di conoscere meglio l’uomo, le sue tendenze, le esigenze, le possibilità, le capacità logiche e mitologiche davanti ai problemi che l’assilla, in modo particolare quello del male.

L’autore biblico, da Gn 3 all’Ap 12, 2, può essere personalmente convinto che Satana sia un individuo, una realtà oggettiva, un (cattivo) protagonista della storia ma non conta per risolvere la questione finché non è risolto il dilemma se sia una sua opinione, un comune dato culturale o una proposta di Dio. Non basta ripetere, lo dice Giovanni, lo dice Paolo e lo ha detto lo stesso Gesù, occorre sapere se veramente lo dice Iddio. Se è sua parola. Tutto ciò che l’uomo può aver escogitato da sé, con la sua intelligenza o con la sua fantasia è solo sua supposizione, una sua risposta. Umana quindi. E se tale potrebbe essere anche l’ipotesi satanica non può proporsi come proveniente da Dio.

Bisogna chiarirsi ancora. Non si può impedire a nessuno di aggrapparsi alle "spiegazioni" che crede per rispondere ai suoi quesiti filosofici e storici; tutti possiamo credere ancora al lupo mannaro o alle streghe ma il problema è se si possono vincolare le coscienze su tale fede e per di più o peggio ancora in nome di Dio. La realtà è più misteriosa di quanto si possa immaginare soprattutto quella invisibile, ma anche quella umana; l’autore sacro sembra averne una migliore conoscenza ma può darsi che egli esca in delle formulazioni empiriche, provvisorie, funzionali più che in delle "definizioni".

Il male fa certamente parte della storia e della vita dell’uomo ma prima di identificarlo con una presenza o forze esterna occorre chiedersi se non sia più opportuno collocarne i tentacoli nell’intimo dell’essere ragionevole, nella sua mente e nel suo cuore, non sempre allineati con il piano e il beneplacito divino. Potrebbe essere che sia stato l’uomo stesso a dare al male una figura, un nome, una sede per meglio individuare e combattere ma non ha fatto che esteriorizzare una realtà che nel profondo di se stesso.

La supposizione pertanto che Satana sia o possa essere un semplice espediente teologico o pedagogico può essere vera quanto quella contraria sostenuta tradizionalmente e soprattutto non ha l’inconveniente di allontanare il male dalla sua sede prima e più immediata, la mente e il cuore dell’uomo, e non si preclude la via a meglio raggiungerlo, combatterlo e colpirlo.

La tesi corrente sembra assegnare a Satana una funzione sul piano creativo, quella di vagliare, mettere alla prova (tentazioni), la fedeltà, la responsabilità dell’uomo ma non sembra l’iniziativa più indovinata e più bella che Dio possa aver preso. Satana non è alla pari delle altre creature; è un essere astuto, potente, imbattibile, quasi invulnerabile, capace di introdursi persino nelle potenze interiori dell’uomo e travolgerle. Davanti a Satana, davanti al potere di Satana l’uomo si trova di fronte a una prova impari; è in partenza perdente.

La resistenza al bene come l’inclinazione al male, quindi la "prova" è nella realtà stessa dell’uomo nelle opposte tendenze che si alternano nel suo essere e nel suo sentire, nella voci contrastanti che salgono dal suo intimo o nella refrattarietà del mondo circostante. Non c’è bisogno di un particolare perturbatore esterno, tentatore per mettere in bilico la sua stabilità morale, la sua fedeltà al creatore. L’uomo è già tanto imperfetto, infelice, inquieto, proclive al male, disturbato, impedito nella sua realizzazione che non occorre che venga messo in balia di un particolare seduttore per una verifica della sua fragilità o fallibilità.

Conclusione

L’affermazione di Giacomo ("Dio non tenta nessuno… Ognuno è tentato dalla sua concupiscenza") non sembra essere stata ancora presa in considerazione. Se Dio non tenta nessuno è probabile che non abbia affidato a nessuno l’incarico di farlo.

Il problema demonologico è può darsi un aspetto del problema antropologico, legato cioè al grado di sviluppo culturale, religioso e spirituale dell’uomo. Non sarà mai possibile affermare che cosa sia Satana finché non si conosce a fondo chi è l’uomo.

Il culto e la fede in Satana può nascondere un facile alibi, un comodo pretesto cioè per coprire il proprio disimpegno.

La comunità cristiana ha forse troppo spesso fatto ricadere su Satana la provenienza dei mali che scaturiscono da cause più vicine. Nella proporzione in cui si identifica Satana con l’imperfezione, la cattiveria, l’egoismo umano la lotta contro il male può essere più serrata e sicura, diversamente rischia di diventare una lotta contro i mulini a vento.

Il demonio inteso come forza extrraterrestre è indimostrabile, insicura; come fenomeno antropologico invece è un obbiettivo raggiungibile e perseguibile. Bisogna incominciare a combattere Satana prima di tutto dove si è sicuri di incontrarlo (Itinerario Spirituale di Cristo, vol. 3, p. 75).

La guerra di Gesù contro i demoni si risolve in pratica in un attacco alle forze che opprimevano l’uomo. le malattie del corpo e dello spirito, le ingiustizie, le superstizioni, i soprusi. Egli più che invocare la caduta di Satana dal cielo ha agito per liberare gli uomini da tutte le forze che dall’interno e dall’esterno minacciavano di renderlo o di tenerlo schiavo.