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LA CREAZIONE NON HA BISOGNO DI RITOCCHI. NÉ DI MIRACOLI. UN TEOLOGO SPAGNOLO RAGIONA DI FEDE E MAGIA

ADISTA n° 76 del 3.11.2007

DOC-1915. MADRID-ADISTA. Liberare la fede da ogni scoria di magia: questo l’ambizioso tentativo del teologo spagnolo Juan Luis Herrero del Pozo quale emerge dal suo intervento su "Dio, storia e coscienza. Dio è intervenuto nella storia?", pubblicato dal sito di Atrio (www.atrio.org) il primo agosto scorso. È una domanda chiave quella che pone il teologo, in quanto investe con forza i concetti di creazione, rivelazione, incarnazione, redenzione. E la risposta che egli offre, come lui stesso riconosce nel suo articolo, fa crollare in maniera drammatica molti dei castelli dogmatici costruiti dalla Chiesa, anche se poi, afferma, è "una sensazione di liberazione e di pace" quella che attende "molti credenti in questo processo di decostruzione". Secondo il teologo, autore fra l’altro del libro Religión sin Magia, il concetto di intervento divino nella storia e nella coscienza è la conseguenza di un approccio magico alla questione della relazione tra Creatore e creatura, con la divinità impegnata a intervenire "al di sopra e al margine delle leggi della natura e delle possibilità della coscienza e della libertà", dunque "modificando, supplendo o completando l’autonomia – incompleta? – del creato". Sarebbe come voler tirar fuori l’ennesimo coniglio dal cilindro quando il circo è già pieno di conigli. In realtà, Dio si dona totalmente nell’atto creatore e questa creazione che si dispiega nella storia non ha bisogno di ritocchi e di perfezionamenti: è già salvezza. Dio, insomma, non si è autolimitato nella creazione, non deve correggersi in seguito al peccato originale "mediante la nuova creazione". Perché ciò vorrebbe dire attribuire alla divinità la capacità di far emergere dal nulla l’essere, ma non quella di "dotarlo originariamente di forza evolutiva, trasformatrice, orientata alla pienezza". Ma credere nell’autonomia di ogni essere creato - chiamato di conseguenza a comportarsi "come se Dio non esistesse", senza attendere che dall’alto qualcuno venga a togliergli le castagne dal fuoco - non presuppone un Dio assente e lontano. "Il nostro Dio – scrive il teologo – è il contrario dell’orologiaio che si disinteressa del suo orologio. Il rifiuto di ogni intervento divino non è il rifiuto della sua Presenza, Vicinanza e Amore". Dio "rimane alla radice di ogni realtà, perché questa raggiunga il suo massimo sviluppo". Senza bisogno di miracoli, rivelazioni, chiamate specifiche o sacramenti.

Di seguito l’intervento di Juan Luis Herrero del Pozo, in una nostra traduzione dallo spagnolo. (c. f.)

DIO, STORIA E COSCIENZA. DIO È INTERVENUTO NELLA STORIA?


 di Juan Luis Herrero del Pozo

La domanda non è di storia, ma di metafisica. Sì, mi dispiace per i più "terreni", ma non si può prescindere dalla metafisica per dare solide basi al nuovo paradigma teologico; senza di essa avremmo solo cosmetica, non un nuovo paradigma. Senza metafisica non è nemmeno possibile il superamento del pensiero magico che continua ad aderire alla mente della maggior parte dei teologi come la pelle al corpo e che è la ragione ultima di quell’interventismo che è alla base dei dogmi. La mitologia cristiana espressa nei dogmi (la "storia sacra") ha una funzione legittima solo quando si scopre come tale, come mitologia, cioè quando viene smascherato il "pensiero magico" che l’ha fatta passare per storia degli interventi di Dio.

Non sembra possibile chiarire se Dio sia intervenuto se non ci intendiamo prima sul termine "intervento". Sebbene venga spiegato più avanti, si può forse favorire la comprensione anticipando che la relazione Dio-creatura non è mai una relazione di causa-effetto (in questo caso sarebbe una relazione magica) ma di fondamento strettamente ontologico, cioè che riguarda l’essere come essere "creato", in tutto quanto è e fa. Per la tendenza ad assimilare tutto alla nostra condizione creata e finita, propendiamo a intendere la relazione Dio-creatura come azione (sia di Lui verso di noi che di noi verso di Lui). Per superare questo equivoco - inconscio? -, non trovo migliore espressione che quella del fondamento ontologico per esprimere quello che intendiamo per "creazione".

 

I. Nella "creazione" si conclude la teologia...

Questo fondamento ontologico della creatura ha ancora meno a che vedere con un’azione propriamente temporale di Dio che immaginiamo abbia fatto passare il creato dal niente (quando niente esiste) all’essere (quando dopo qualcosa comincia ad esistere). Il fondamento ontologico non ha nulla a che vedere con la dimensione temporale. Il creato è ontologicamente dipendente da Dio anche se non ha avuto un inizio temporale, cioè anche se, riavvolgendo la storia del cosmo, non andassimo ad urtare con il confine del tempo o con il momento prima del quale niente esisteva. Penso perfino che non manchino ragioni per parlare di una creazione ab aeterno e di una coesistenza "eterna" del-l’Infinito e della realtà creata, il primo Necessario, la seconda Contingente. Teologicamente "Dio è amore", cosa che filosoficamente corrisponde al concetto di bonum est diffusivum sui, il Bene è per sua natura espansivo, creativo. Niente impedisce di contemplare la possibilità fisica di una serie illimitata di big-bang.

Questa nozione così depurata di "creazione", ben intesa, ingloba tutto in teologia. Ci basta anche per dare conto della nozione, tanto cristiana - e tanto umana -, di gratuità. La comunicazione di Dio è essenzialmente Dono: Bernanos diceva giustamente "Tutto è grazia". Questo fondamento ontologico, questa gratuità radicale che riguarda le radici e la totalità dell’essere non va mai dimenticata. Ma è sufficiente per affermare con decisione, a partire da esso, l’autonomia totale rispetto a Dio di ogni essere che, nel suo ordine e in una qualche maniera, dovrà comportarsi "come se Dio non esistesse". In questo mondo, una madre può inviare un messaggio telepatico al figlio e io posso trasmettere energia ad un amico malato. Dio è più potente, gli basta sostenere ogni essere o azione nella sua esistenza autonoma; andare più in là e intervenire nel processo storico sarebbe contraddire se stesso. Ovviamente si capirebbe ancor meno che lo facesse alcune volte sì e altre no (sebbene molti ricorrano alla preghiera per chiedere qualcosa).

 

II. L’"interventismo" divino è magia

L’"interventismo" divino è la conseguenza diretta e naturale del vecchio paradigma nella sua radicale dipendenza dal pensiero magico. Ho parlato di magia perché l’interventismo divino sarebbe come tirar fuori ancora un altro coniglio dal cilindro quando il circo è già pieno di conigli. In ogni caso, è magia attribuire a Dio l’essere causa di un qualche effetto che cominciasse ad esistere, o, esistendo già, si vedesse modificato contravvenendo alla sua autonomia e alle leggi naturali, fisiche o mentali. Per gli antichi, l’inter-vento dall’alto faceva parte del meccanismo di funzionamento del cosmo. All’origine del movimento di ogni astro c’era un angelo e il re riceveva l’autorità da Dio. Oggi solo il papa pretende di conservare questo privilegio. Le leggi fisiche e gravitazionali, in un caso, e il popolo sovrano, nell’altro, finirono col sopprimere il lavoro degli angeli e di Dio che recuperava la sua trascendenza occulta dopo un’immanenza male intesa. Ma poiché l’Illuminismo risultava troppo pericoloso, l’Autorità ecclesiale fece molta attenzione ad assicurarsi che l’autonomia del cosmo non si estendesse alla coscienza sotto forma di libertà di pensiero e decisione.

 

II. L’intervento "soprannaturale", un falso sovrappiù

Questa attenzione non risultava difficile all’istituzione ecclesiale perché previamente (magari per la necessità di conferire finalità e senso al processo di divinizzazione di Gesù) era stata operata la distinzione tra "naturale" e "soprannaturale", cioè tra quello che era a portata dell’essere umano per "natura" e quello che gli era arrivato, aggiunto successivamente, come redenzione soprannaturale sovrabbondante dal peccato originale (felice colpa!), nuova suprema gratuità a fondamento di una "nuova creazione". Un’abbagliante personalità aveva fatto di Gesù qualcuno appena al di sotto dell’Altissimo, figlio di Yahvè. Gesù aveva annunciato il Regno, ma subito Paolo e altri seguaci, a partire dalle loro soggettive esperienze religiose, si erano dimenticati praticamente del Regno di Dio e avevano cominciato a parlare del secondo Adamo, abbondantemente riparatore del peccato del primo. Tutto il racconto mitico della Genesi era stato teologizzato e i racconti sinottici mistificati. Gesù aveva centrato il suo messaggio sul Regno, quello dei poveri e degli emarginati; i suoi discepoli hanno sostituito il Regno con Gesù. La Buona Novella non è più il nuovo statuto dei poveri ma la Persona (divina) di Gesù.

A partire dalla potente irruzione divina del Dio-con-noi si moltiplicano a cascata - in grado superiore a quelli del-l’Antico Testamento - gli interventi soprannaturali della di-vinità, al di sopra e al margine delle leggi della natura e delle possibilità della coscienza e della libertà:

- Infusione della grazia santificante, mozioni soprannaturali (grazia attuale) per rendere possibili atti meritori di eternità e/o sanare e rafforzare la libertà "caduta".

- Efficacia necessaria anche se strumentale dei sacramenti che generano e dotano l’anima di nuove possibilità (virtù soprannaturale).

- Superamento della simbologia eucaristica della condivisione della mensa grazie all’interpretazione letterale di "questo è il mio corpo", con il conseguente modo di "pre-senza reale" di alchimia transustanziatoria (secolo XI).

- Infusione di un "carattere" indelebile e permanente da parte di certi sacramenti (neanche Dio, mi si perdoni, mi toglie il sacerdozio, così come l’apostasia non cancellerà mai il "carattere" battesimale, l’essere cristiano).

- "Ispirazione" grazie alla quale il profeta o lo scrittore sacro concepiscono certi nuovi contenuti di coscienza (le verità rivelate) irraggiungibili senza uno speciale intervento divino. A partire da qui tutto è più confuso.

- Nessuno ha dubitato che i contenuti parlati o scritti di profeti e agiografi fossero farina del loro sacco, vissuti soggettivi, esperienze religiose personali. Ma vengono rivestiti di una cappa soprannaturale di "ispirazione" divina (ma come distinguere i due livelli?) in virtù della quale ci è dato di aggiungere chiaramente la postilla "parola di Dio" ad ogni lettura (rivelazione). Sarebbe bastata una coscienza sensibile e aperta per discernere il carico di dis-velamento di Dio che veicola l’esperienza spirituale di un uomo di Dio. Sempre... quanto più umano, più divino!

- Una sede speciale dell’azione divina senza rispetto alcuno per l’autonomia cosmica, cioè al di sopra o al margine delle leggi naturali (magia), è l’ambito dei miracoli...

- Per colmo, quando Garibaldi si presenta alle porte della Città Santa, Pio XI si rifugia nell’infallibilità: si guadagna da un lato quello che si perde dall’altro. È il massimo dell’interventismo (per quanto sempre a mezze tinte: va’ a sapere - con certezza umana, chiaro! - se si danno i requisiti per avere la garanzia dell’"assistenza" dello Spirito in una definizione ‘ex cathedra’).

Ancora e ancora… azione, azione e azione (causa-effetto) di Dio che modifica, supplisce, completa l’autono-mia – incompleta? – del creato. Si è autolimitato Dio nella creazione; si corregge in seguito al peccato originale mediante la "nuova creazione"?

In una concezione magica di Dio, egli sarebbe in grado di fare "il più" e non "il meno": potrebbe far emergere l’es-sere dal nulla ma non dotarlo originariamente di forza evolutiva, trasformatrice, orientata alla pienezza. L’evoluzione verso stadi superiori non è un accidente aggiunto bensì è inerente al concetto di essere limitato ma perfettibile. Tanto l’evoluzione ascendente delle specie quanto la capacità innata delle coscienze di rigenerarsi moralmente, di "convertirsi", di dire liberamente sì laddove prima si diceva no. È la capacità naturale di discernimento e di decisione che costituisce la persona come coscienza intelligente e libera. Il peccato è inerente all’essere limitato o deficiente ("necessarium est quod deficiens quandoque deficiat", quello che può sbagliare, sbaglia sempre qualche volta). E non rappresenta nessuna cesura irreparabile che avvenga alla coscienza e la renda incapace di riabilitarsi (come pretende la sua teorizzazione come "offesa infinita" a Dio).

 

IV – Non è deismo

A forza di difendere l’autonomia della creazione in tutti i suoi ambiti, lasciamo spazio a chi ci accusa di deismo. Il deismo è la cosmovisione di una creazione orfana di fronte ad un dio ozioso e annoiato. Perché, se "non interviene", come può occuparsi provvidenzialmente del mondo, che è quello che lui fa? Sbagliamo, credo, se non ci basta che Dio sia il fondamento ontologico e abbiamo bisogno di duplicarlo in un fare provvidenziale. Perché, se Dio non agisce, in cosa occupa la sua solitudine? O, perlomeno, come verrà in nostro aiuto? Come ci salverà?

Non sono deista, neanche lontanamente. Come ho detto, mi oriento a credere che il Dio di Gesù sia l’essenzial-mente presente, tanto vicino che non lo si può concepire senza il suo essere visceralmente creatore, diffusivum sui, ab aeterno et in aeternum. È "attività" trascendente, "Atto puro".

È necessario riconoscere che la metafisica su Dio è asciutta e austera, e mal si concilia con l’immaginazione spazio-temporale, con similitudini e metafore. Queste rispondono, tuttavia, al mondo in cui siamo immersi, a quello che entra in noi attraverso i sensi, al calore del cuore. Per questo preferisco la mistica, perché la mistica è metafisica con il cuore (profondità e tenerezza).

Il nostro Dio è il contrario dell’orologiaio che si disinteressa del suo orologio. Il rifiuto di ogni interventismo divino non è il rifiuto della sua Presenza, Vicinanza e Amore. L’essere creatura si definisce come essere-a partire da-Dio, cioè essere-a partire dall’amore, ciascuno al proprio livello, in modo che, se non lo fosse, tornerebbe al nulla, smetterebbe di esistere. Stiamo parlando di una Presenza Fondante della realtà e quanto più realtà tanto più Fondante, fino ad arrivare, per quanto riguarda l’essere umano, a quello che diceva Agostino di Ippona: "Dio è più dentro in me della mia parte più profonda" o, nelle parole poetiche del Profeta Maometto, "più vicino della mia vena giugulare". Le immagini sorgerebbero a fiotti, per quanto tutte pervertano la Grande Realtà. Dio è la luce che inonda un prisma di puro cristallo, ad una profondità tale da conferirgli l’essere quello che è. Dio è la respirazione, l’alito, la "ruah" del cosmo. Dio è l’Uno del Molteplice, Pura Energia, Dea Madre eternamente pregna del Mondo… E, soprattutto, la metafisica della poesia mistica: "Passò per questi luoghi con sveltezza, e soltanto effondendo / lo sguardo con mitezza / li lasciò rivestiti di bellezza" (Giovanni della Croce, Cantico Spirituale, ndt). Più del Nirvana.

Tale e non altro è, a mio modo di intendere, il mistero dell’Immanenza del Trascendente, quello di una creazione che è insieme umanizzazione, incarnazione e salvezza, in un’unica modalità di Presenza in differenti tappe dell’evo-luzione cosmica e della maturazione della persona.

 

V – Una cosmovisione credente e laica

Detto ciò in maniera chiara perché nessuno si inganni, tenteremo di tracciare una cosmovisione semplice, umana, spirituale, valida per tutti, credenti e non credenti (i quali devono solo provvedere ad eliminare l’etichetta Dio con cui non sono conformi).

Lo ripeto di nuovo, tutto è Grazia, tutto è Dono, "chi ha Dio, nulla gli manca", "in lui, Dio, non in Gesù, ci muoviamo e siamo". Una volta affermato questo, nel pensiero e nel progetto di vita del credente (è l’unica fede che non sia magica), il resto della storia e della persona si costruisce "come se Dio non esistesse". Cosa o chi ci impedisce di stabilire che il cosmo, essere umano incluso, nella sua totalità evolutiva, emerge all’esistenza con una capacità "naturale" sufficiente per progredire verso la perfezione? Dio non ha bisogno di fare nient’altro, si è dato interamente e lì rimane alla radice di ogni realtà perché questa raggiunga il suo massimo sviluppo. È lì come massimo Presente, per quanto la coscienza umana possa non percepirlo. Tutto si svilupperà come se Dio non esistesse, per quanto lunga sia, nell’evoluzione della coscienza primitiva (la nostra attuale), la tappa magica in cui l’immaginario collettivo si fabbrica un Dio antropomorfo. Un Dio interattivo che viene inteso come un personaggio familiare, quasi domestico, per quanto di molto superiore, che muove dietro le quinte i fili della storia. Penso che sia un deficit dell’Occi-dente cristiano (non gesuanico). Dico questo perché probabilmente l’Oriente ha un pensiero e un comportamento più raffinati. Abbiamo supposto che qualcuna delle sue religioni o non avesse Dio o fosse panteista, semplicemente perché si trattava di una spiritualità più evoluta che intendeva il mondo e si sviluppava nella vita "come se Dio non esistesse".

Noi, invece, abbiamo addomesticato Dio molto presto, ce lo siamo fatto propizio scaricando su di lui la nostra responsabilità e caricandolo della gestione degli avvenimenti. Abbiamo parlato incessantemente di Dio come se nulla ci si nascondesse del suo essere, abbiamo pronunciato il nome di Dio invano, lo abbiamo utilizzato come condimento di tutte le vivande, siamo ricorsi a Lui, perché mi venga concessa una piazza, guarisca la mia mucca, piova sul mio campo, l’immaginetta (il mio amuleto) in macchina mi preservi dagli incidenti, i miei affari abbiano successo con una benedizione inaugurale ecc. Il "come se non esistesse" significa che la provvidenza di Dio non ci toglierà le castagne dal fuoco, perché non esiste provvidenza intesa come intervento di Dio. Dio non distribuirà giustizia né darà da mangiare al Terzo Mondo.

 

VI – Sviluppo della coscienza autonoma

Ignoriamo, salvo alcuni pochi punti fissi, quale sia stata la storia dell’essere umano e l’evoluzione della sua coscienza. Ma qualcosa conosciamo della breve storia - alcune poche migliaia di anni - dei nostri predecessori ebrei. E la conosciamo perché essi stessi hanno generato diverse tradizioni orali e scritte, la Bibbia, in cui ogni generazione consegnava il proprio vissuto religioso soggettivo, che magnificava e assolutizzava, facendone coautore lo stesso Dio A partire da qui si è realizzata l’esegesi del testo, interpretazione di quello che la "Parola di Dio" stava dicendo (senza dubitare che avesse parlato). Esegesi che era appena l’analisi dell’evoluzione della coscienza soggettiva di un popolo. Sapendo a posteriori che, diversamente che in Oriente, gli ebrei facevano intervenire costantemente Yahvé come personaggio qualificato della loro storia, sarebbe di grande importanza - ma tutt’altro che facile - isolare dalle credenze più propriamente religiose relative agli interventi divini tutto quanto bisognerebbe spiegare come socialmente, culturalmente, psicologicamente e antropologicamente u-mano. Sarebbe un po’ come avvicinarsi alla storia dell’e-voluzione della coscienza di quel popolo senza eguali. Non ci darebbero inquietudine le contraddizioni e le atrocità che ora ci appaiono nel considerare la Bibbia come "Parola di Dio". Dal momento che non so se qualcosa sia stato fatto su questa linea, mi limiterò a formulare un’ipo-tesi di lavoro a partire dall’esperienza, da dati antropologici e da una riflessione umana critica.

La mente dell’uomo primitivo è impregnata dalla convinzione della propria precarietà a causa delle malattie e della morte e della mancanza di difese di fronte alle forze della natura, il fulmine, il vulcano, il fuoco, il mare, il gelo, le inondazioni. Nel momento stesso in cui l’essere umano diventa cosciente della sua precarietà, avverte la necessità di qualche protezione e salvezza. Nel duplice sentimento di precarietà e ansia di salvezza alberga la sua convinzione di non essere solo, bensì circondato da forze che subito egli personalizza e divinizza. Ha inizio inevitabilmente il processo di fabbricazione di dei "a propria immagine e somiglianza". Un dio o alcuni dei le cui azioni magiche solo l’Illuminismo ci preparerà a scoprire come tali, indicandoci che le cose hanno una propria autonomia e si reggono per leggi proprie e che non è necessario un dio antropomorfo che interferisca nella storia come una causa che produce un effetto inatteso: scelgo questo popolo tra tutti, contraddico le isobare e faccio piovere a richiesta di alcuni credenti, faccio un miracolo perché il papa possa canonizzare questa buona persona (o non così buona) ecc.

Dopo quei tempi arcaici, il progresso umano è stato molto lento in ciò che è veramente sostanziale: le civiltà e le culture si difendevano come potevano da credenze in base a cui non si poteva stare sicuri che qualche dio, proprio o alieno, non ne facesse una delle sue con la propria bacchetta magica. Fino al tempo assiale, decisivo come lo è stato quello del neolitico, dell’ampio processo del Rina-scimento-Illuminismo, pare che l’umanità non riuscisse a raggiungere l’età adulta nel superamento del pensiero arcaico magico: vivere radicati nella Grande Realtà "come se dio non esistesse".

Una volta che la Modernità ci permette una nuova cosmovisione, un nuovo paradigma, non è difficile concepire un essere umano che procede in solitudine precaria in questo mondo sapendo di non essere solo.

Il mito del "peccato originale" è quel racconto, esistente in un modo o in un altro in quasi tutte le culture, con cui i gruppi umani tentano di spiegare e di formulare l’esistenza del Male: se Dio non può esserne l’origine (lo è sì nella misura in cui Dio non può "creare" un cosmo illimitato e perfetto), è stato qualche disordine morale dell’es-sere umano, qualche peccato, a sconvolgere la realtà cosmica. È la funzione del mito: di fronte all’ignoto, esprimere e verbalizzare una causa che indichi una qualche spiegazione.

La realtà naturale, fisica o morale, è per sua propria natura limitata, rischiosa, precaria. Chi ci può assicurare che ciò si debba alla perdita di un qualche status anteriore perfetto? E, per la stessa logica, chi può segnalare i limiti del naturale? Contro tutti i pregiudizi della teologia vigente, Blondel osò prendere sul serio questa insaziabile insoddisfazione, questa autentica sete di Infinito del cuore umano e identificarla con l’Immanenza di ciò che chiamiamo "soprannaturale", Dio e la sua attrazione verso la Pienezza.

(Prendiamo fiato: sono molti i castelli dogmatici che traballano. Nonostante ciò, c’è una sensazione di liberazione e di pace che accompagna i credenti in questo processo di decostruzione).

La coscienza umana, in particolare, è perfettamente attrezzata per l’avventura esistenziale, per quanto sia limitata e precaria nelle sue origini biologiche. Ma possiamo star sicuri che ogni storia, individuale o collettiva, si sia costruita senza preferenza o scelta alcuna da parte della divinità. Dalla massima precarietà fino alla pienezza, perché è legge di vita.

Neppure c’è posto per alcuna chiamata divina ad uno stato di vita concreto. Non c’è alcuna scelta legittima a scapito dell’uguaglianza o dei canali democratici nella designazione a qualche carica. Nessun battesimo genera un qualche cambiamento nell’anima. Nessun sacramento produce alcun effetto estraneo al potere della sua simbologia. Nessuna persona supera un’altra per indicazioni soprannaturali, ma solo per qualità o formazione naturali…

Questo tema di somma importanza non si esaurisce qui. Ma credo che quanto detto, per quanto provocatorio e scandaloso, sia sufficiente a sospettare da dove possano soffiare venti nuovi. In realtà sarebbe un beneficio per i teologi, nonostante qualcuno possa credere di perdere lavoro e identità. Per quanto mi riguarda personalmente, ho l’impressione di restare senza compiti propriamente teologici. Al tempo stesso mi si apre davanti un campo immenso di studio e di contemplazione: l’ingente figura di Gesù il Nazareno, apparendomi insipida la teologia (presunzione e orgoglio, senza dubbio!), inizia nel mio spirito a crescere come non avrei mai potuto immaginare nel corso delle ripetute letture dei testi evangelici. Amico credente o non credente… aude sapere!