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QUANDO IL "GREGGE" DECIDE DI SCEGLIERSI IL PASTORE. IL DOCUMENTO DEI DOMENICANI OLANDESI


ADISTA n° 66 del 29.9.2007

DOC-1898. NIMEGA-ADISTA. Hanno scatenato una tempesta i domenicani olandesi: il dibattito suscitato dal loro opuscolo, che invita apertamente le comunità parrocchiali a scegliere da sé i propri pastori in assenza di un prete che possa celebrare l'Eucaristia (v. Adista n. 63/07), rischia di scappare di mano ai vescovi olandesi, che cercano di correre ai ripari. Malgrado abbiano ottenuto la cancellazione di una giornata di studio programmata dalla Provincia olandese dei domenicani sui temi del documento, sembra che siano già molte le associazioni pronte a raccogliere il sasso gettato nello stagno dal libretto e a discuterne temi e proposte.

Intanto, però, il vescovo emerito di Breda, mons. Huub Ernst, ha definito il documento, redatto da fr. André Lascaris, fr. Jan Nieuwenhuis, fr. Harrie Salemans e fr. Ad Willems, "ambiguo", "erroneo" e "non significativo": "Se si legge bene il testo, si vedrà che la conclusione è un vero invito a passare all'azione. I domenicani avrebbero avuto bisogno di ben altri pareri al di fuori della loro cerchia. Si tratta di un tema da affrontare in un ambito più grande di quello di una provincia dell'ordine. È un dibattito che non può essere limitato alle parrocchie, ma deve essere esteso a tutta la Chiesa e senza escludere i vescovi. Quando si escludono i vescovi dal dialogo, si prende già posizione". Ma, come aveva chiarito già la scorsa settimana ad Adista fr. André Lascaris, i vescovi sono naturalmente invitati a partecipare alla discussione che "Kerk en Ambt" (Chiesa e Ministero) - questo il titolo del libretto - vuole suscitare: perché esso, si legge nell'introduzione, "non va inteso come una presa di posizione dottrinale o come un manuale, ma come un contributo per un dibattito rinnovato ad un livello più profondo".

Nato da un'approfondita ricognizione della condizione e delle esigenze delle parrocchie, l'opuscolo inizia col constatare la divaricazione profonda che si riscontra quasi ovunque tra la base e la gerarchia, per passare poi a proporre soluzioni concrete e radicali: niente di innovativo, chiariscono gli autori, tutto è già contenuto nei testi del Vaticano II, che hanno messo al primo posto l'immagine della Chiesa come "popolo di Dio" piuttosto che come gerarchia. Da qui l'invito pressante alle comunità di credenti perché si riprendano "quegli spazi di libertà teologicamente giustificati per scegliere un leader o un gruppo di leader al proprio interno", senza lasciare che l'attuale struttura gerarchica della Chiesa le privi del loro "diritto" a vivere insieme la celebrazione eucaristica.

Di seguito, Adista propone una nostra traduzione di alcuni dei brani più significativi del breve opuscolo (18 pagine). (a. s.)

 

LA CHIESA E IL MINISTERO


 di A. Lascaris, J. Nieuwenhuis, H. Salemans, A. Willems

Introduzione

(…) Questa Commissione ha iniziato il suo lavoro visitando numerose parrocchie, per vedere come la gente rifletta su questi temi (eucaristia, ministero, sacerdozio ordinato, ndt), quale realtà si trovino davanti nella loro pratica parrocchiale, e come vedano lo sviluppo della situazione per il futuro. La Commissione non ha trovato in nessuna di queste parrocchie un’assoluta unanimità. Hanno posto domande e sollevato dubbi ed erano incerti su come procedere.

Tuttavia, su alcuni temi sembrava esserci un consenso di fondo, soprattutto sull’atteggiamento nei confronti delle concrete politiche adottate dalla gerarchia della Chiesa in varie diocesi olandesi, che sono in generale considerate di difficile applicazione. Molti dei fedeli provano un sincero disagio per la presente condizione, spesso percepita come dolorosa e scoraggiante. Apparentemente c’è il desiderio di chiarificare i veri temi in discussione. (…)

Questo documento è stato accettato dagli amministratori della Provincia olandese dei Domenicani e viene distribuito da loro. Non va inteso come una presa di posizione dottrinale o come un manuale, ma come un contributo per un dibattito rinnovato ad un livello più profondo. Vuole aiutare a trovare una via d’uscita all’impasse attuale e a dare avvio, se possibile, a una consultazione che possa migliore l’esperienza di fede di molti.

7 gennaio 2007, il Provinciale e il Concilio della Provincia olandese dei Domenicani.1. La situazione

Chiunque voglia avere un quadro complessivo della situazione attuale di "Chiesa e ministero", troverà opinioni e pratiche divergenti tra coloro che sono stati direttamente coinvolti nell’organizzazione o supervisione di assemblee ecclesiali dentro o fuori le parrocchie. Soprattutto, è chiaro che c’è una differenza fondamentale tra, da una parte, l’opinione e la pratica di chi ha un’autorità ufficiale e, dal-l’altra, la pratica quotidiana di coloro che ogni settimana sono responsabili della celebrazione nella propria comunità ecclesiale. (…)

Se si domanda loro quali siano le loro speranze per il futuro, le parrocchie spesso rispondono: "Avere la possibilità di fare a modo nostro". Ciò non significa un arbitrio illimitato, ma la possibilità di fare, secondo la loro autentica responsabilità e in accordo con le loro autentiche convinzioni di fede, ciò che al livello più profondo ritengono vada fatto.

In primo luogo, ciò vuol dire che, in principio, uomini e donne possono essere scelti dalla comunità stessa per presiedere l’Eucaristia, cioè ‘dal basso’. Ciò non significa che non vogliano che la loro scelta sia seguita da una confermazione o benedizione o ordinazione da parte della gerarchia della Chiesa, ovvero dal vescovo locale. Anzi, dal loro punto di vista, questa confermazione o ordinazione è importantissima per questo ministero. Conseguentemente, vorrebbero un rito in cui la comunità locale possa proporre al vescovo per l’ordinazione le persone – sia uomini che donne – scelte come leader della propria comunità, e in cui il vescovo le ordinasse. In questa procedura auspicata ci sarebbe, quindi, un’azione combinata dall’‘alto’ e dal ‘basso’: la comunità presenta i candidati e il vescovo li benedice e conferma sulla base della tradizione apostolica. Certamente non si può dire che queste comunità non vedano l’importanza dell’autorità nella Chiesa e della tradizione apostolica. Anzi, vogliono rimettere l’autorità al posto che ha nella tradizione e, conseguentemente, tributarle un rispetto maggiore di quanto ne abbia oggi.

In questo modo, sperano in una liturgia in cui le parole dell’istituzione possano essere pronunciate sia da coloro che presiedono all’Eucaristia che dalla comunità (da cui provengono coloro che presiedono). Il pronunciare queste parole non è ritenuto una prerogativa esclusiva dei preti; se fosse così, come sarebbe possibile evitare una forma di potere e di diritto quasi magico? Le parole costituiscono una consapevole dichiarazione di fede da parte dell’intera comunità, che offre la sua voce alla persona che presiede la celebrazione.

In questa speranza per il futuro, il compito e il ministero del leader della comunità sono fondamentalmente (‘democraticamente’) decisi dalla comunità ecclesiale. Come leader, lui o lei è parte della comunità, un credente che viene dalla comunità. D’altra parte, il suo ministero è allo stesso tempo e in sé una funzione ‘di fronte’ alla comunità: il ministero, ricoperto da lui o da lei, di proclamare e dichiarare qualcosa alla comunità sulla base della tradizione del Libro. Si tratta, quindi, letteralmente, di una doppia funzione: chiamati dalla comunità e tratti da essa, è la comunità stessa che li incarica di proclamare ciò che dovrebbe essere proclamato. Poiché vengono dalla comunità e in essa rimangono, questi leader ricevono ‘autorità’ (che in olandese ha la stessa radice di zeggen, dire, ndt) da parte della comunità in senso letterale: lui o lei ‘ha qualcosa da dire’ e lo deve dire perché il suo compito abbia un senso.

Il duplice senso del ministero si ritrova anche nella funzione di presiedere la preghiera eucaristica. La comunità chiede che coloro che la presiedono compiano i gesti liturgici e li affida a loro. Non si può affermare che il ministro, con l’ordinazione, riceva il potere di fare qualcosa che gli altri non sono in grado di fare. È una forma di responsabilità., piuttosto che di potere, quella che la comunità affida loro, perché agiscano per conto di tutti e in nome di tutti. I leader nella comunità quindi sono come sollevati per un momento al di sopra di se stessi dalla comunità. Per un momento si allontanano in modo da diventare la personificazione, la mano e la voce della comunità. Il gesto liturgico quindi è esclusivo, ma non in misura tale da conferire potere o diventare eccezionale. Non è fatto ‘a esclusione di voi’, ma ‘includendo voi, grazie a voi e per conto di voi’. (...)2. Cosa è Chiesa?

(…) Un diverso modello: la Chiesa come corpo

Inserendo un nuovo capitolo nella Costituzione del Vaticano II sulla Chiesa, si affermò meglio un diverso modello di Chiesa: meno rigidamente gerarchico, più organico e orientato verso la comunità nel suo complesso. Questo modello richiama l’immagine paolina della Chiesa come corpo. Questo cambiamento aprì anche uno spazio per una diversa concezione della funzione di guida nella comunità. Nei primi tempi della Chiesa, la nomina di un tale ministro, in molte comunità, non richiedeva un’ordinazione nel senso di una ‘consacrazione’, ma nel senso di dare un posto, o ‘ordine’, tra le varie funzioni di un corpo. Il leader di una comunità non veniva trasferito in un altro ordine di ‘essere’, ma nominato e accettato dalla comunità per una specifica funzione. Un tale ministro, come Paolo, poteva esercitare una professione al di fuori della Chiesa (cfr. 1Cor 4,12; At 18,3-4; 20,34). Secondo questa concezione, non era scontato che un certo gruppo di persone dovesse venire escluso preventivamente da questa funzione perché il loro ‘essere’ era ritenuto impuro o troppo mondano. All’apostolo Pietro era stata affidata una funzione cruciale anche se era sposato e nella Chiesa primitiva c’erano anche varie ‘diaconesse’.

Secondo la concezione gerarchica della Chiesa e del suo ministero che è ancora attuale, il prete ordinato funge da ‘cardine’ nella mediazione della grazia, una funzione che non può essere contestata e non è aperta alla concorrenza dall’interno: il ministro ordinato definisce la Chiesa, che in sua assenza non può più funzionare. Nel modello ‘organico’ di Chiesa la situazione è diversa: la comunità di fede decide quali tipi di ministeri sono necessari qui e ora. Fin quando la minaccia della concorrenza determinerà il pensiero della Chiesa e dei ministri, non ci sarà spazio per una connessione organica in cui i vari ministri possano cooperare.

In realtà, è chiaro che, fino a quando rimarrà predominante il modello gerarchico della Chiesa, non ci sarà spazio per coloro che oggi chiamiamo ‘operatori pastorali’. Nella ‘Chiesa come piramide’ possono essere guardati soltanto con sospetto, per paura che, accanto ai ‘preti validamente ordinati’, possa sorgere un ‘clero parallelo’. (…)3. L’Eucaristia

(…) La preferenza dell’Istruzione vaticana (Redemptionis Sacramentum, ndt) per l’interpretazione sacrificale è collegata all’enfasi unilaterale data al carattere ‘verticale’ dell’Eucari-stia. Ciò presuppone un’immagine tratta dalla filosofia antica: tutto ciò che è ‘buono’ discende, per diversi gradi, dall’alto verso il basso, in questo caso attraverso il prete che è un rappresentante di Gesù, fino ad arrivare ai fedeli. Questi rispondono a questo movimento discendente con un movimento ascendente che procede anch’esso per gradi – attraverso il prete – che è chiamato ‘sacrificio’.

La scelta di questa immagine semplifica la difesa di una concezione del ministero in cui la leadership della comunità è sì chiamata ‘servizio’, ma coloro che svolgono questo servizio sono, nei fatti, posti sempre su un gradino più alto degli altri fedeli e in questo modo esercitano un controllo su di essi. Anche se in teoria l’Eucaristia è al centro della liturgia, la sua celebrazione è di fatto resa dipendente da una persona che la presiede, il che rende l’ordinazione il più importante dei sacramenti.4. Ministri nella Chiesa

(…) Come andare avanti?

Quando c’è una trasformazione nella concezione dominante dell’umanità e del mondo, quando ci sono cambiamenti socio-economici e si manifesta una nuova consapevolezza socio-culturale, l’ordinamento della Chiesa, come si è sviluppato storicamente, può, di fatto, contraddire e bloccare qualcosa che voleva proteggere fino ad oggi: la costruzione di una comunità cristiana. Ci si potrebbe chiedere se e in quale misura alcune forme e regole che avevano senso ed erano rilevanti e quindi realistiche nel passato siano ancora ragionevoli e realistiche nel nostro tempo, o se, piuttosto, siano controproducenti.

Quando diciamo questo ci riferiamo specificamente al canone che proibisce agli uomini non celibi di essere investiti della piena leadership di una comunità e alla legge che esclude le donne da questo compito. Storicamente, una filosofia antiquata dell’uomo e una concezione ormai sorpassata della sessualità sono all’origine di entrambe queste leggi. Sono leggi ecclesiastiche e quindi umane, non divine.

Nel suo discorso di apertura del Concilio Vaticano II, papa Giovanni XXIII chiamò la Chiesa ad aprire le sue finestre al mondo. Una Chiesa che vuole essere rilevante dovrebbe avere il coraggio e prendersi la libertà di abolire leggi che mortificano la vitalità delle comunità e impediscono in moti luoghi la celebrazione dell’Eucaristia. Spesso, nel passato, pratiche ‘illegali’ diffuse nella base hanno convinto la gerarchia che era logico e ragionevole cambiare la legislazione esistente. Nuovi esperimenti possono indicare strade importanti per i cambiamenti della forma di una Chiesa adeguata alle esigenze del nostro tempo. È vero che nella nostra società occidentale le persone non sposate sono, intrinsecamente, più adatte a essere leader della comunità di fede delle persone sposate? E che nella nostra cultura occidentale gli uomini sono intrinsecamente più adatti a ispirare e guidare una comunità cristiana delle donne? La nostra risposta, e quella di molti altri credenti, è, per entrambe le domande, un inequivocabile ‘no’.

L’attuale penuria di preti è, per dirla tutta, fasulla, e, quindi, irreale. In molte parrocchie, ci sono uomini e donne che già agiscono, in modi stimolanti e che danno speranza, per dare avvio e ispirazione a comunità adatte ai nostri tempi, con cui i cristiani si possono identificare. Molti membri di queste comunità avrebbero piena fiducia nell’‘ordinarli’ come loro leader ufficiali e come ministri che presiedano alle celebrazioni liturgiche. Per tali funzioni, pensiamo, prima di tutto, agli operatori pastorali, uomini e donne, che sono stati nominati ufficialmente, ma anche a molti volontari. Questi uomini e donne sono nel cuore della loro comunità locale, in misura maggiore, spesso, dei preti ordinati. Questi preti sono stati nominati – spesso in più di una parrocchia – per presiedere alla celebrazione dei sacramenti, soprattutto l’Eucaristia. Inevitabilmente, e con loro frustrazione e scoraggiamento, diventano sempre più degli ‘estranei’ per i credenti per cui celebrano nelle Chiese. (…)Un appello urgente

Con una certa urgenza invitiamo le nostre comunità di fedeli e le parrocchie a rendersi conto di cosa è in gioco nell’attuale condizione di emergenza dovuta alla penuria di preti celibi ordinati e a prendersi – e a essere autorizzati a prendersi – quegli spazi di libertà teologicamente giustificati per scegliere un leader o un gruppo di leader al proprio interno.

Sulla base della precedenza del ‘popolo di Dio’ rispetto alla gerarchia – esplicitamente enunciata durante il Concilio Vaticano II – ci si potrebbe aspettare che il vescovo diocesano confermi questa scelta, dopo un’adeguata consultazione, per mezzo dell’imposizione delle mani. Se un vescovo dovesse rifiutare questa confermazione o ‘ordinazione’ sulla base di argomentazioni che non riguardano l’essenza dell’Eucaristia, come il celibato obbligatorio, le parrocchie possono essere sicure di essere in grado di celebrare la vera e genuina Eucaristia quando si riuniscono in preghiera e condividono il pane e il vino.

Invitiamo le parrocchie a comportarsi in questo modo con una grande dose di coraggio e sicurezza in se stesse. Bisogna sperare che, stimolati anche da questa pratica relativamente nuova, i vescovi possano in futuro comportarsi secondo il loro compito di servire ed eventualmente confermare i leader delle comunità locali nel loro ufficio.