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L’“ORDINE” SUGLI ALTARI, LA RIVOLUZIONE ALL’INFERNO 

José María Castillo


ADISTA n° 78 del 10.11.2007

A piazza San Pietro, il 28 ottobre, saranno solennemente beatificate 498 persone assassinate nella Guerra Civile spagnola. Mai, nella lunga storia della Chiesa, hanno ricevuto gli onori della beatificazione tanti cristiani in una sola volta. Si tratta dunque di un fatto del tutto singolare che dovrebbe essere motivo di gioia per tutta la Chiesa, specialmente per quella spagnola. Ma questo fatto, fonte di tanta gioia per la Chiesa, non può essere motivo di allegria per tutti i suoi membri.

Perché coloro che saranno elevati a tanta dignità appartenevano tutti a una sola delle fazioni in lotta. E ora ci ritroviamo con la sgradevole situazione che, essendoci dei credenti anche tra le vittime dell’altra fazione, mentre alcuni spagnoli preparano gioiosamente il loro viaggio a Roma per onorare i propri antenati come eroici martiri, ci sono altri spagnoli ugualmente credenti che si sentono non solo dimenticati ed esclusi dalla festa, ma anche nell’impossibilità di sapere dove furono sepolti i loro defunti. Può perfino accadere che alcuni si vedano additati come persone incapaci di dimenticare offese che tutti dovremmo cancellare dalla memoria.

La Chiesa è attenta ad elevare agli altari solo coloro che hanno dato la loro vita per motivi religiosi, mai quelli di cui si sospetta che furono uccisi per motivi politici. Negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, quando in America Latina le dittature militari giunsero alle peggiori crudeltà, furono torturate e massacrate molte migliaia di cristiani: vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, catechisti e laici. Per le vittime di quegli orrori sarà molto difficile guadagnare la gloria che il 28 ottobre toccherà a coloro che, in Spagna, morirono nella “zona rossa”. I casi più eclatanti sono quelli di monsignor Angelelli, in Argentina, e soprattutto di monsignor Romero, in El Salvador, assassinato sull’altare mentre stava celebrando l’eucarestia. Nessuno di loro è stato ancora beatificato. Molti di quanti morirono violentemente in America Latina erano cristiani esattamente come quelli che patirono tortura  e morte nelle carceri della Repubblica. La differenza è che quelli che furono giustiziati dai repubblicani erano credenti e di destra, “gente d’ordine”, mentre molti dei cristiani assassinati da Videla o da Pinochet erano credenti, ma credenti di sinistra, “gente rivoluzionaria”. E, si sa, dal punto di vista dominante in Vaticano, l’“ordine” sale sugli altari, mentre la “rivoluzione” scende agli inferi. Videla e Pinochet furono militari “d’ordine” e di destra. Le loro vittime difficilmente saranno elevate agli altari. I loro familiari si potranno già reputare soddisfatti se troveranno le tombe di coloro che furono giustiziati perché “rivoluzionari”.

So che rimestare nella memoria della Guerra Civile è una questione scabrosa. Perché, invece di curare vecchie ferite, può versare più aceto sulle piaghe che non riescono a chiudersi. Tuttavia, anche a rischio di irritare chi vede le cose in un altro modo, credo sia necessario parlare di tale questione. Perché ora ci stiamo rendendo conto che, nell’esemplare transizione tante volte elogiata, c’è stata una ferita curata male. Forse non poteva essere diversamente. Ma siamo in molti oggi a pensare che sia giunta l’ora di sanare la nostra convivenza. Allora, se c’è qualcuno che ha un ruolo determinante in questa materia, questa è la Chiesa, soprattutto i vescovi. Il prossimo 28 ottobre ci saranno quasi tutti i vescovi spagnoli a piazza San Pietro. E poi ci saranno le celebrazioni locali dei 498 martiri, in ogni città, in ogni parrocchia, in ogni paese. Ci saranno feste di martiri in tutta la Spagna, per settimane. Per quanto il portavoce dei vescovi, Martínez Camino, neghi che dietro tutto questo ci sia un’in-tenzione politica, bisognerebbe essere ciechi per non accorgersi che così si facilitano le cose, in vista della campagna elettorale, a quanti si sentono eredi di quegli spagnoli considerati oggi come martiri di una crociata, proprio quando delle altre vittime si nega anche il ricordo.

Quando scoppiò la Guerra Civile, c’era a Linares un prete che era il parroco dei minatori. A Linares comandavano i repubblicani. E fra i minatori abbondavano le persone di sinistra. E tuttavia nessuno attaccò quel prete. Non fu un martire. Non poté esserlo. Perché prima che cominciasse la guerra, e durante, si era dedicato interamente ad alleviare il dolore dei suoi fedeli che lavoravano duramente e guadagnavano una miseria, senza la dovuta sicurezza e, soprattutto, senza dignità. Il parroco di cui parlo era don Rafael Álvarez Lara. Finita la guerra, fu nominato vescovo di Guadix e dopo di Maiorca. È stato lui ad ordinarmi sacerdote ed ho sempre mantenuto con lui un’amicizia eccellente. Fu un uomo veramente buono. Non intendo insinuare che quelli che saranno venerati come martiri non furono persone buone quanto lo fu don Rafael. Quello che dico è che se i preti e le suore che c’erano in Spagna negli anni ’30 fossero stati visti dai poveri, dagli operai e dai lavoratori come i minatori di Linares vedevano don Rafael, sicuramente ora non avremmo tanti martiri sugli altari, ma, piuttosto, più cristiani per le strade e maggiore unità, rispetto e armonia nella nostra società.