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LA CHIESA NEMICA DI SE STESSA

Antonio Scurati

La Stampa 15-8-2007

L’estate dei preti pedofili. Pedofili e santi.

Forse così sarà ricordata l’estate del 2007. Corriamo il rischio che, di qui a cent’anni, quando gli storici si volteranno indietro a studiare la stagione che stiamo vivendo, vi individueranno l’origine di una trasformazione sconvolgente in seno alla Chiesa cattolica, il momento in cui la perversione sessuale cominciò a essere rivendicata quale privilegio ecclesiastico, l’abuso sull’infanzia e ogni altra manifestazione di sessualità patologica cominciarono a essere ritenute il normale contraltare della vocazione religiosa e la Chiesa tutta cominciò a essere percepita da gran parte della popolazione come un luogo separato dalla società, sottratto alle leggi e alle norme che governano la normale convivenza civile, un luogo al tempo stesso superiore e inferiore ad essa.

La Chiesa come arca di vizi demoniaci e angeliche virtù, che prende il largo in un mare sacro, per una navigazione terribile ma forse salvifica, su rotte comunque remote rispetto alla terra sottoposta alla legge degli uomini, quegli uomini che affannosamente la calcano, giorno dopo giorno, portando il loro fardello di piccole speranze e piccoli peccati. L’estate 2007 verrà forse ricordata come l’inizio di una regressione verso un passato arcano, al tempo stesso splendido e oscuro, verso un medioevo di grandi peccatori e grandi cattedrali.

Probabilmente questa rimarrà soltanto una fantasia ferragostana, suggerita dalla canicola e dai pasti abbondanti, ma è suggerita anche dai fatti delle ultime settimane e, soprattutto, da alcuni autorevoli commenti che li hanno accompagnati. Sabato scorso, sulle colonne di questo giornale, Vittorio Messori, uno dei più colti e stimati intellettuali cattolici, coautore di ben due papi (ha scritto libri a quattro mani sia con Benedetto XVI sia con Giovanni Paolo II), in una sconcertante intervista, ha dichiarato di non trovare nulla di scandaloso in un uomo di Chiesa che ogni tanto «tocchi qualche ragazzo» se poi «ne salva a migliaia». Dopo aver ricordato che molti santi e beati della Chiesa erano psicopatici vittime di gravi turbe della sessualità, Messori si è spinto fino a dichiarare che la pedofilia - forse il più odioso tra tutti i crimini, stando al senso comune - sarebbe, secondo un certo «realismo della Chiesa», nient’altro che «un’ipocrita invenzione». Poiché la linea di demarcazione tra l’adulto e il bambino sarebbe sempre in qualche misura convenzionale, non ci sarebbe nessuna sostanziale differenza tra un rapporto omosessuale consensuale tra due adulti e gli abusi di un adulto su di un bambino.

L’aberrante argomentazione di Messori - che io sinceramente mi auguro di aver frainteso - mira a scagionare preventivamente un prete come don Gelmini dalle accuse di molestie sessuali. Non con il dichiararlo innocente, ma con il ritenerlo esente dalla legge penale e morale, anche se colpevole. La sua presunta «santità» lo collocherebbe in uno stato d’eccezione sottratto alla giurisdizione umana. Sebbene sconcertante, questa proposta da Messori è una concezione molto radicata nella tradizione cristiano-cattolica e, più in generale, nell’antropologia del sacro: il prete, in quanto ministro del culto di Dio, proprio perché più vicino degli altri uomini al principio divino, sarebbe più prossimo anche a quello diabolico. Il sacerdote, in quanto iniziato alle pratiche sacre, sarebbe una sorta di maneggiatore di potenti veleni, capaci di portentose guarigioni ma anche di micidiali tentazioni. In ogni caso, l’esperienza religiosa, in quanto strettamente legata all’ordine soprannaturale, si separerebbe da quello naturale (sacro, etimologicamente, significa «separato»). L’uomo di Chiesa, nella misura in cui prende a modello il santo, non sarebbe più un uomo in mezzo ad altri uomini, che si distingue da essi per una superiore moralità, ma un uomo che, aspirando alla santità, si ritiene al di sopra di ogni moralità. E, talora, perfino della legalità.

Si tratta, insomma, di una concezione che potremmo definire «cattolicesimo magico», prepotentemente tornata alla ribalta della storia negli ultimi anni, da quando l’onda della cosiddetta secolarizzazione e il disincanto del mondo, dopo aver sommerso la società occidentale, hanno cominciato il loro movimento di risacca. Lasciano sulla riva una recrudescenza di ferventi culti mariani, di attese miracolistiche, di antichi riti pagani, di devozioni totali a guaritori presto canonizzati in santi cristiani, di estasi collettive e accensioni mistiche. Fa parte di quest’onda di riflusso anche la delega in bianco della cura delle tossicodipendenze, una delle più gravi patologie sociali del nostro tempo, a istituzioni religiose da parte dello Stato laico. Nelle «stanze del silenzio» in cui giovani disperati aprono il loro cuore a curatori (nel senso letterale del prendersi cura) quali don Gelmini, la guarigione la si attende non dall’applicazione di un protocollo medico-scientifico ma dalla benedizione di un dono religioso. In quelle stanze, intanto, c’è comunque un uomo in totale potere di un altro uomo.

Si ritorna così a un clima da Santa Inquisizione, nel quale però i processi per stregoneria vengono celebrati sui media e a parti invertite: per una sorta di nemesi storica, oggi sono i preti a essere accusati di quei commerci carnali con il Maligno di cui nei secoli accusarono presunte streghe e stregoni. Anche il sospetto che gli indemoniati sottraggano gli infanti alle loro famiglie per sacrificarli sull’altare del Male riecheggia quegli antichi e deliranti capi d’accusa.

Ma, lungo questa china scivolosa, è la Chiesa, non un fantomatico e inesistente anticlericalismo, la peggior nemica di se stessa. Anche noi laici, forse soprattutto noi, ci auguriamo che la Chiesa rimanga fedele a se stessa, alla sua più alta ispirazione e custodisca - come vuole ad esempio un conservatore illuminato, monsignor Biffi - la castità dei suoi preti, quel grande dono che gli uomini di Dio fanno ad altri uomini, garantendo ai loro figli e alle loro figlie uno spazio preservato dalla furia travolgente della libido sessuale. Ci auguriamo che la Chiesa custodisca questo dono prezioso fin dove possibile e, quando anche la castità fosse un traguardo impossibile, salvi almeno la temperanza, antica virtù cristiana. Sarà allora una Chiesa con meno aspiranti santi e con più uomini probi. Una Chiesa ancora capace di scandalizzarsi perché memore dello «scandalo» su cui si fonda: Gesù Cristo, il Dio che si abbassa fino a incarnarsi nell’uomo, non l’uomo che pretende di innalzarsi fino a farsi Dio.