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LA RIVOLUZIONE DI UN UOMO INTEGRO. IL RICORDO DI THOMAS SANKARA A VENT'ANNI DALLA MORTE

ADISTA n° 76 del 3.11.2007

DOC-1919. ROMA-ADISTA. Era un uomo integro Thomas Sankara, il presidente rivoluzionario del Burkina Faso assassinato il 15 ottobre del 1987. Non sorprende, dunque, che proprio con questo nome - Burkina Faso, la "terra degli uomini integri" (traduzione di due parole, una mooré e l’altra dioulà) - avesse voluto ribattezzare il suo Paese, l’Alto Volta, dopo il contro-colpo di Stato che lo condusse al potere nel 1983. "Tutti, anche fuori dall’Africa, dovrebbero sapere chi era Sankara", scrive su Alias del 13 ottobre Marinella Correggia, del Comitato Sankara XX (curatrice del libro Thomas Sankara – I discorsi e le idee, 2006, pagine 126, ed. Sankara): "L’estrema attualità della sua esperienza rivoluzionaria ci fa pensare che egli sarebbe un attore importante non solo nelle attuali lotte dei popoli oppressi ma anche per la crescita di un modello planetario di giustizia sociale ed ecologica, un imperativo ambientale, etico e di sopravvivenza".

E c’è davvero tanto da sapere sul presidente assassinato: le sue campagne in favore del disarmo, della cancellazione del debito nei Paesi del sud del mondo, dell’alfabetizzazione di bambini ed adulti (nei pochi anni del suo governo venne dimezzato il numero degli analfabeti), della riforestazione, della sicurezza alimentare e idrica; l’impegno per l’emancipa-zione delle donne; la lotta alla corruzione e l’abolizione dei privilegi per sé e per il suo staff, perché non voleva essere il presidente ricco di un Paese povero; l’austerità, che lo portava a girare in Renault 5 o in bicicletta e a fare l’aero-stop, accettando passaggi in aereo da colleghi più ricchi; la sua lotta per l’uso delle materie locali e per la divulgazione dei costumi e delle tradizioni locali, come aveva fatto Gandhi in India; la creazione di orti accanto ai ministeri, perché riteneva che i funzionari che non sapevano coltivare la terra non avrebbero potuto neanche comprendere le necessità del popolo burkinabé, dedito all’agricoltura; e la decisa opzione per il panafricanismo. È per tutto questo, per il suo programma, per le sue idee, per le sue amicizie sospette, come quelle con Fidel Castro, Olof Palme (primo ministro svedese e grande uomo di pace, ucciso il 1986), Maurice Bishop (primo ministro di Grenada ucciso nel 1983), che Sankara è stato assassinato, per quanto il suo certificato di decesso parli di morte naturale. A tradirlo fu il suo amico fraterno Blaise Compaoré, artefice del colpo di Stato che lo rovesciò, e da allora presidente – tutt’altro che integro – del Burkina Faso, subito svenduto alle multinazionali e al Fondo Monetario Internazionale e oggi tra i 5 Paesi più poveri del mondo, con una speranza di vita intorno ai 45 anni e un tasso di analfabetismo pari al 60%. "Il cielo africano si è squarciato il 15 ottobre e ha sparso i suoi rottami su tutto il pianeta", scrisse in un’orazione funebre nel 1987 Ouattara Ngoussou, africano migrante in Italia, citato da Marinella Correggia.

Tra le iniziative per il ventesimo anniversario dell’assassinio di Sankara, due convegni, in particolare, ne hanno ricordato l’opera e il pensiero, uno a Roma, il 2 ottobre, dal titolo "Thomas Sankara, l’esempio di una politica giusta" e l’altro a Torino il 14 ottobre, intitolato "Se ci fosse ancora Sankara", entrambi promossi dal Comitato Italiano Sankara XX. Di seguito, in una nostra traduzione dal francese, l’intervento tenuto al convegno di Roma dal giornalista di Radio Vaticana Albert Mianzoukouta, originario del Congo Brazaville. (c. f.)

 

THOMAS SANKARA, IL PANAFRICANISTA


 di Albert Mianzoukouta

Quando viene evocata, la figura di Thomas Sankara evidenzia un contrasto forte: popolare in tutto il continente e oltre, Sankara resta tuttavia un leader di dimensioni quasi modeste all’interno del suo stesso Paese. In effetti, al di fuori di partiti sankaristi che si disputano la sua eredità ideologica, l’uomo è quasi spinto nell’oblio dalle autorità ufficiali del Burkina Faso di oggi. La ragione principale è nota: il presidente attuale, Blaise Compaoré, vecchio compagno d’armi di Thomas Sankara, su cui pesano i sospetti dell’as-sassinio del leader, ha sempre mostrato disagio di fronte all’evocazione del compagno assassinato. Dopo il 1987, anno del suo omicidio, Thomas Sankara è stato ucciso in mille modi da quelli che lo hanno effettivamente tradito.

Basti ricordare che il suo certificato di morte, debitamente firmato dalle autorità sanitarie competenti, continui a riportare: "Causa del decesso: morte naturale".

Basti ricordare anche che non è stato fatto nulla perché la sua tomba diventasse un mausoleo all’altezza del personaggio. Che sua moglie e i suoi figli continuano a vivere nella semplicità appresa da lui. Che la vera riconciliazione, sbandierata dalle autorità attuali, non è mai veramente cominciata, perché essa richiede in primo luogo giustizia e chiarezza sulle circostanze della morte del grande leader. Tutti questi segni sono realtà burkinabè, ben visibili. Ma sono in contrasto più che evidente con l’aura, la statura gigantesca, l’immagine eroica che Thomas Sankara evoca nel resto del continente!

Intendo parlare del panafricanismo di Thomas Sankara, sottolineando come il primo simbolo di questo panafricanismo sia in queste contrastanti sfaccettature: un gigante all’esterno, una spina nel fianco di molti nello stesso Burkina Faso. L’Africa ha recuperato il suo eroe e gli ha dato il posto che spetta ai suoi degni figli: che io sappia, è il solo grande leader africano a risentire di tale contrasto. In effetti, Nkrumah, Nasser, Lumumba – per non citare che alcuni – sono figure che brillano di luce propria innanzitutto nei loro Paesi d’origine. Thomas Sankara, lui, continua a parlare alla gioventù africana di oggi, ma ai Burkinabè, all’interno del loro Paese, viene impedito in mille modi di intenderlo nella giusta dimensione.

Una causa, una morte

Si è spesso sottolineato come la presa di coscienza politica di Thomas Sankara non sia rinchiusa nello stretto perimetro del suo Alto Volta natale. Dalla sua formazione militare a Antsirabé (Madagascar) alle sue amicizie, tutto ha condotto questo giovane leader nato nel 1949, cioè solo un decennio prima delle indipendenze formali, a pensare prima di tutto all’Africa, anche quando era alla guida del Burkina Faso.

La sua visione politica era la "visione da camaleonte" di cui parla il grande saggio Hanadou Hampaté Ba, secondo cui il camaleonte, che può guardare indietro con un occhio e fissare decisamente davanti con l’altro, incarna una indubbia prudenza, perché può valutare la distanza da percorrere in rapporto a quella percorsa.

Con un occhio al Burkina Faso, Sankara fissava con l’altro l’obiettivo del divenire dell’intera Africa. I due suoi grandi esempi furono costantemente Cuba, Paese il cui internazionalismo non ha bisogno di dimostrazione, e il Ghana, il Paese del mitico Nkwame Nkruma, l’uomo del panafricanismo, appunto. È questo che emerge dal suo Discorso d’orientamento politico del 2 ottobre 1983.

Ed è questo che emerge da tutte le sue prese di posizione nelle grandi riunioni africane, soprattutto nei summit dei capi di Stato membri dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA). Emerge anche dai contatti, spesso irritati, che ebbe con la vecchia potenza coloniale, la Francia, anche quando giunse al potere la sinistra di François Mitterrand (maggio 1981).

Le sue grandi lotte: il problema del debito dell’Africa, la lotta contro la corruzione, la promozione della donna (nei suoi governi c’era il più alto numero possibile di donne, spesso la metà dei membri), i problemi del mondo rurale, l’educazione... tutti temi che egli affrontava non in un’ottica di imposizione ai Burkinabè, ma nella prospettiva di estenderne la portata ad un continente cui raccomandava la responsabilizzazione dei cittadini per far fronte alle sfide della storia.

Si tende a dimenticare che Thomas Sankara fu in assoluto il primo capo di Stato a premere per una politica africana comune nella lotta contro l’Aids nel 1983! Cioè in un’epoca in cui la maggior parte dei governi, anche in Occidente, tendeva a pensare che questa terribile malattia fosse solo un problema altrui e che bastasse perciò chiudere le frontiere e cacciare le/i prostitute/i stranieri per proteggersene.

Questi dirigenti irritavano fortemente Thomas Sankara per la loro cecità e per i loro atteggiamenti da struzzo. Essi invocavano altre cause (è un complotto, un’invenzione dei Bianchi, ecc.), quando non arrivavano addirittura a negare l’esistenza del male stesso o la sua ampiezza! Sankara fu in tutto ciò un veggente. Ancora una volta, il suo sguardo mirava lontano perché non si fermava ai soli benefici per il suo popolo.

È noto che egli chiedeva agli altri ciò che chiedeva innanzitutto a se stesso, e che lo chiedeva per far avanzare le tappe della Rivoluzione che riteneva necessarie, nel quadro di una lotta che aveva un deciso carattere antimperialista. Inutile ricordare che viaggiava con voli commerciali e in classe economica, anche quando era in missione di Stato e che profittava volontieri dei voli di suoi pari più fortunati (tale Gheddafi); che girava in Renault 5 e non in Mercedes, ecc... Questi segni non erano folklore. Erano l’espressione di una volontà di sobrietà, e prima di tutto la manifestazione di una disponibilità per la grande causa dell’Africa.

Thomas Sankara è stato il primo ad affrontare il problema della deforestazione. Certo, ha svolto il suo compito in particolare in Burkina Faso, Paese ai confini del Sahel minacciato costantemente dall’avanzata del deserto. Ma anche questo impegno ecologico va ben oltre la dimensione del solo Burkina Faso per diventare una "causa saheliana". Cioè una ragione per lottare insieme per benefici comuni, perché la siccità, il deserto e la fame che ne consegue sanno farsi beffe delle frontiere nazionali. Più tardi, quando la Chiesa cattolica cercherà un luogo per fondare l’Istituto del Sahel, è naturalmente il Burkina Faso che si imporrà. Sulle orme di Sankara!

In sintesi, il panafricanismo di Thomas Sankara è a due facce, come la sua stessa figura: il panafricanismo che lui ha incarnato in vita e il panafricanismo che hanno portato avanti per lui quelli che hanno assunto la sua eredità dal 1987.

Oggi esiste una Avenue Thomas Sankara a Luanda (Angola), un grande liceo Thomas Sankara a Brazzaville (Congo) e una moltitudine di "Club Thomas Sankara" in Costa d’Avorio, in Senegal, in Guinea-Conakry, in Guinea-Bissau, in Congo Brazzaville, in Mozambico, perfino a Capo Verde. Senza dimenticare il Burkina Faso, dove è considerata una bravata o una forma di contestazione politica presentarsi come "sankarista" quando si vuol dire no al potere di turno, per quanto il "sankarismo" voglia dire molte cose anche contraddittorie, come dimostrano le divisioni dei partiti politici burkinabè che lottano nel nome del grande leader.

C’è tutta un’Africa, al Centro, all’Ovest e anche al Sud che è stata elettrizzata dall’esempio di Thomas Sankara: in lui tutta una generazione di giovani africani ha visto l’incar-nazione di un destino di dignità e di orgoglio ritrovati. È senza dubbio per questo che gli ambienti francesi e i loro prolungamenti in Africa hanno fatto di tutto per eliminare questa figura-guida. Non è senz’altro un caso se un Paese come la Costa d’Avorio, il cui presidente, Felix Houphoëet-Boigny, passava per essere il più fedele degli alleati francesi, ha avuto così spesso delle polemiche con Thomas Sankara.

Di modo che si può dire che è stato il panafricanismo la causa prima dell’assassinio di Thomas Sankara, il 15 ottobre 1987. Si sa: un uomo che muore per una causa non muore. L’Africa oggi lo dimostra abbondantemente, scrivendo il suo nome per l’eternità al vertice del suo albero della vita.