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Con la scusa del popolo

di Gad Lerner

“la Repubblica” del 16 maggio 2008

La caccia ai rom scatenata in tutta Italia sta cominciando a suscitare disagio, ma non ancora la

necessaria rivolta morale.

Difficile, soprattutto per dei politici, mettersi contro il popolo. Col rischio di passare per difensori

della delinquenza, dei violentatori, dei ladri di bambini. E' questa, infatti, la percezione

passivamente registrata dai mass media: un popolo esasperato, l'ira dei giusti che finalmente

anticipa le forze dell'ordine nel necessario repulisti. Ma siamo sicuri che "il popolo" siano quei

giovanotti in motorino che incendiano con le molotov gli effetti personali degli zingari fuggiaschi,

le donne del quartiere che sputano su bambini impauriti e davanti a una telecamera concedono:

"Bruciarli magari no, ma almeno cacciarli via"? Che importa se parlano a nome del popolo i fautori

della "derattizzazione" e della "pulizia etnica", i politici che in campagna elettorale auspicarono

"espulsioni di massa", i ministri che brandiscono perfino la tradizione cattolica per accusare di

tradimento parroci e vescovi troppo caritatevoli?

La vergogna di Napoli, ma anche di Genova, Pavia e tante altre periferie urbane, non ha atteso

l'incitamento dei titoloni di prima pagina, cui ci stiamo purtroppo abituando. "Obiettivo: zero campi

rom" (salvo scatenarsi se qualche sindaco trova alloggi per loro). "I rom sono la nuova mafia"

(contro ogni senso delle proporzioni). "Quei rom ladri di bambini" (la generalizzazione di un grave

episodio da chiarire). Dal dire al fare, il passo dell'inciviltà è compiuto. Perfino l'operazione di

polizia effettuata ieri con 400 arresti e decine di espulsioni sembra giungere a rimorchio. La legge

preceduta in sequenza dalla furia mediatica e popolare, come se si trattasse di una riparazione

tardiva.

Chi si oppone è fuori dal popolo. Più precisamente, appartiene alla casta dei privilegiati che

ignorano il disagio delle periferie. Ti senti buono, superiore? Allora ospitali nel tuo attico! L'accusa,

e l'irrisione, risuonano ormai fin dentro al Partito democratico. Proclama Filippo Penati, presidente

di centrosinistra della Provincia di Milano: "I rom non devono essere ‘ripartiti', bisogna farli

semplicemente ripartire". E accusa Prodi di non aver capito l'andazzo, di non aver fatto lui quel che

promettono i suoi successori. Nel 2006 fu Penati, insieme al sindaco Moratti, a chiedere al comune

di Opera di ospitare provvisoriamente 73 rom (di cui 35 bambini). Dopo l'assedio e l'incendio di

quel piccolo campo, adesso è stato eletto sindaco di Opera il leghista rinviato a giudizio per la

spedizione punitiva. Mentre si è provveduto al trasferimento del parroco solidale con quegli estranei

pericolosi.

La formula lapalissiana secondo cui "la sicurezza non è né di destra né di sinistra" appassisce, si

rivela inadeguata nel tumulto delle emozioni che travolge la cultura della convivenza civile. Perfino

la politica sembra derogare dal principio giuridico della responsabilità individuale di fronte alla

legge. Perché un conto è riconoscere le alte percentuali di devianza riscontrabili all'interno delle

comunità rom, che siano di recente immigrazione dalla Romania, oppure residenti da secoli in

Italia, o ancora profughe dalla pulizia etnica dei Balcani. Un conto è contrastare gli abusi

sull'infanzia, la piaga della misoginia e delle maternità precoci, i clan che boicottano l'inserimento

scolastico e lavorativo, la pessima consuetudine degli allacciamenti abusivi alla rete elettrica e

idrica.

Altra cosa è riproporre lo stereotipo della colpa collettiva di un popolo, giustificandola sulla base di

una presunta indole genetica, etnica. Quando gli speaker dei telegiornali annunciano la nomina di

"Commissari per i rom", sarebbe obbligatorio ricordare che simili denominazioni sono bandite nella

democrazia italiana dal 1945. Il precetto biblico dell'immedesimazione – "In ogni generazione

ciascuno deve considerare se stesso come se fosse uscito dall'Egitto" – dovrebbe suggerirci un

esercizio: sostituire mentalmente, nei titoli di giornale, la parola "rom" con la parola "ebrei", o

"italiani". Ne deriverebbe una cautela salutare, senza che ciò limiti la necessaria azione preventiva e

repressiva.

La categoria "sicurezza" non è neutrale. Ne sa qualcosa il centrosinistra sconfitto alle elezioni, e

solo degli ingenui possono credere che se Prodi, Amato o Veltroni avessero cavalcato l'allarme

sociale con gli stessi argomenti della destra il risultato sarebbe stato diverso. Qualora il nuovo

governo applichi con coerenza la politica di sicurezza annunciata, è prevedibile che nel giro di

pochi anni il numero dei detenuti raddoppi, o triplichi in Italia. Scelta legittima, anche se la sua

efficacia è discutibile. Quel che resta inaccettabile è il degrado civile, autorizzato o tollerato con

l'alibi della volontà popolare. Insopportabili restano in una democrazia provvedimenti contrari al

Codice di navigazione – l'obbligo di soccorso alle carrette del mare – o che puniscano la

clandestinità sulla base di criteri aleatori di pericolosità sociale.

Da più parti si spiega l'inadeguatezza della sinistra a governare le società occidentali con la sua

penitenziale vocazione "buonista". E' un argomento usato di recente da Raffaele Simone nel suo

"Mostro Mite" (Garzanti), salvo poi trarne una previsione imbarazzante: la cultura di sinistra col

tempo sarebbe destinata a essere inclusa, digerita dalla destra. Discutere un futuro lontano può

essere ozioso, ma è utile invece riscontrare l'approdo a scelte comuni là dove meno te l'aspetteresti:

per esempio sulla pratica delle ronde a presidio del territorio.

Naturalmente gli assalti di matrice camorristica ai campi rom di Ponticelli non sono la stessa cosa

della Guardia nazionale padana. Che a sua volta non va confusa con i volontari di quartiere proposti

dai sindaci di sinistra a Bologna e a Savona. Nel capoluogo ligure, per giustificare la proposta, è

stata addirittura evocata l'esperienza del 1974, quando squadre antifasciste pattugliarono la città

dopo una serie di bombe "nere". Il richiamo ai servizi d'ordine sindacali o di partito è suggestivo,

quasi si potesse favorire così un ritorno di partecipazione e militanza che la politica non sa più

offrire. Ma è dubbio che nell'Italia del 2008 – afflitta da nuove forme di emarginazione come i

lavoratori immigrati senza casa, le bidonvilles fucine di criminalità ma spesso impossibili da

cancellare – le ronde possano considerarsi uno strumento di democrazia popolare.

Dobbiamo sperare in una reazione civile agli avvenimenti di questi giorni, prima che i guasti

diventino irrimediabili. Già si levano voci critiche ispirate a saggezza, anche nella compagine dei

vincitori (Giuseppe Pisanu). Il silenzio, al contrario, confermerebbe solo l'irresponsabilità di una

classe dirigente che ha già cavalcato gli stupri in chiave etnica durante la campagna elettorale