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Inseguendo le danze dei Rom, popolo perseguitato d’Europa

di Erri De Luca

“Avvenire” del 2 novembre 2008

Popolo senza nazionalità, accampato in Europa da più di mille anni, contato, da altri, in molti

milioni, scavalca confini in carovane e porta segni di civiltà opposta alla nostra. Il più evidente è il

rifiuto di servire a una guerra, ma senza bisogno di esclamare obiezione di coscienza: solo per pura

disobbedienza all’odio. Hanno disgusto per le divise. Amano la famiglia perciò la rinforzano di

figli, cinque, sei per nucleo. Molta della loro vita è decisa dalle donne, gli uomini fanno i

rappresentanti verso l’esterno. Per la religione decidono invece i luoghi in cui accendono il fuoco e

stendono il bucato: ce n’è di cattolici in Italia, Francia e Spagna, di protestanti in Europa del nord,

di ortodossi in Grecia, Serbia, Bulgaria, ce n’è di musulmani in Bosnia, Macedonia, Kosovo,

khorakhané, lettori di Corano. Alcuni studiosi trovano in loro delle influenze ebraiche, visto che

mancavano solo queste all’appello dei monoteismi. In qualche dettaglio circa la impurità femminile

durante il ciclo mensile hanno davvero regole simili a quelle dell’Antico Testamento. Non hanno

case in muratura, del resto neanche la divinità di Israele ne ebbe. Si fece costruire una tenda e pochi

arredi per spostarsi sulla superficie del deserto con il suo popolo, in un viaggio a zigzag durato

quarant’anni e quarantadue tappe. Quando la divinità permise l’edilizia di un tempio dentro

Gerusalemme, l’opera fu distrutta due volte, a segnale che stava meglio senza.

A differenza della tradizione ebraica, gli zingari preferiscono dimenticare anziché tramandare storia.

Hanno subìto offese e persecuzioni, anche loro sono stati l’ultimo gradino della scala sociale e

perciò il primo, il più facile da calpestare. Sono rimasti all’ultimo gradino. Da noi di recente si è

stabilito di prendere le loro impronte digitali, sfrattarli dagli accampamenti, trattare da clandestini

insediamenti di molti decenni. Il principio è sempre quello di pestare il suolo più facile, per poi

magari passare ad altre categorie.

Si rimprovera loro indifferentemente accattonaggio e furto, come se stendere la mano per chiedere

fosse la stessa cosa che stenderla per sfilare. Chiedere l’elemosina è un diritto naturale, da noi c’è

chi lo vieta con un’ordinanza. Da noi con le ordinanze di certi sindaci si è perso il lume del ridicolo.

Hanno subìto sterminio, nell’ordine approssimato per difetto di mezzo milione di loro nei campi di

sterminio. Sono rimasti fuori dalla serie di indennizzi sborsati dalla repubblica federale tedesca. Il

loro caso è stato considerato di ordine pubblico e non di sterminio di massa. Non è stato

riconosciuto loro il rango di vittime.

Vero è che se ne infischiano dei riconoscimenti. Vero pure che c’era un Zigeuner Camp, le baracche

degli zingari, dentro Birkenau e che in un’atroce notte d’estate del ’44 venne svuotato

dall’annientamento di tutti loro nei cameroni sigillati, da cui veniva giù il gas dell’asfissia, il Zyklon

b. Difficile far rientrare in operazioni di ordine pubblico uno sterminio di donne e di bambini, ma la

storia è elastica o almeno le sue versioni di comodo. Non sono lettori di libri, piuttosto di linee

scavate nei palmi di mano o nelle costellazioni. Nei fuochi dei bivacchi cantarono, danzarono,

suonarono, insegnando così musiche e danze a mezza Europa, e l’altra mezza imparò dai loro

allievi. Impararono a battere il rame per farne stoviglie, insegnarono a ballare pure agli orsi. Di

recente sono stati aggrediti da abitanti di un quartiere di Napoli e costretti a spostarsi. Sanno

lasciare spento quando vanno via, sanno lasciare spento il posto da cui sono scacciati. Racimolo

notizie su di loro, le accosto e mi sembra che in fondo alla loro notizia resiste un sorriso di grazie

alla vita e uno d’ironia per il mondo.