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“Testamento biologico, finalmente si ragiona”

intervista a Umberto Veronesi a cura di Luca Ubaldeschi

in “La Stampa” del 2 dicembre 2008

«E’ un importante segnale di apertura al dialogo». Umberto Veronesi, oncologo di fama

internazionale e senatore, che da anni si batte per introdurre in Italia il testamento biologico, ha

appena finito di leggere la proposta di Rocco Buttiglione. Un disegno di legge approvato da Cei e

Vaticano - e anticipato ieri da La Stampa - secondo il quale si potrà rifiutare per iscritto l’intervento

chirurgico con cui viene inserita la cannula che fornisce cibo e acqua; ma una volta impiantata non

potrà essere più interrotto il sostegno vitale a eccezione di infezioni in corso.

Professor Veronesi, possiamo parlare di svolta nel dibattito sul testamento biologico?

«Diciamo che è un tentativo prezioso di conciliare le visioni del mondo laico e di quello religioso

sui contenuti del testamento biologico, su che cosa può o non può essere oggetto della volontà

anticipata della persona. Non c'è più discussione sull'importanza e il valore “civile” del documento,

come era invece quando cinque anni fa ho iniziato la prima campagna informativa attraverso la mia

Fondazione. E questo è già un risultato molto positivo».

Però il dibattito, sia etico che politico, resta molto acceso. Come è possibile fare passi avanti?

«Oggi la discussione si concentra sul diritto della persona a rifiutare o accettare ogni tipo di

trattamento, in base all'articolo 32 della Costituzione sulla libertà di cura, oppure se escludere il

potere di decisione del malato circa nutrizione e alimentazione forzata. Un punto non marginale

perché l'alimentazione forzata è la condizione che permette la vita artificiale, cioè proprio quella

che molti di noi non vogliono vivere e quella per cui l'intero movimento civile a favore del

testamento biologico è nato».

La proposta del vicepresidente dell’Udc potrebbe risolvere i problemi?

«L'idea di poter rifiutare l'impianto del sondino è un gran passo in avanti, ma presenta due

difficoltà. La prima è di natura tecnica: il sondino viene applicato in fase di rianimazione, quando

ancora non si sa se il coma in cui eventualmente il paziente si trova sarà transitorio o permanente.

Solo dopo almeno un anno, e dopo tutti i tentativi di recupero possibili, si può diagnosticare un

coma irreversibile, o stato vegetativo permanente. Quindi non applicare il sondino per la nutrizione

artificiale all'inizio del coma diventa un “mancato soccorso”, e dal punto di vista della deontologia

medica è più grave che toglierlo perché non c'è speranza di recupero. E' la stessa situazione in cui ci

troviamo quando dobbiamo somministrare ossigeno a un malato che non riesce a respirare: un conto

è “farlo morire” non dandogli l'ossigeno che gli serve per respirare, un altro è “lasciarlo morire”

quando glielo si toglie perché si capisce che neppure l'ossigeno può servire a mantenerlo in vita».

E la seconda difficoltà?

«Riguarda i principi e il diritto. Mi spiego: se accettiamo che una persona rifiuti di mettere il

sondino, come possiamo non accettare che lo si tolga se questa è la volontà espressa in precedenza?

Come potrà un magistrato, in caso di controversia, assolvere un medico che non ha messo il

sondino per salvare un malato e condannare uno che l'ha rimosso dopo aver effettuato le cure

necessarie?».

Mi scusi, ma allora siamo daccapo. Come si esce da questa impasse?

«Tutto deve essere legato alla volontà del malato, espressa lucidamente quando era in salute. Da qui

dobbiamo ripartire per considerare una legge sul testamento biologico. Invece il dibattito si è

spostato progressivamente sul confine dell'accanimento terapeutico e su che cosa sia terapia e che

cosa no. Ma la questione delle cure sproporzionate - la definizione di accanimento terapeutico è

pessima - non ha niente a che vedere con il testamento biologico».

In conclusione, c’è una possibilità di dialogo fra laici e cattolici su questi temi? E se sì, il ddl

Buttiglione che ruolo può avere?

«E' uno spiraglio di dialogo fra chi crede nella sacralità della vita, che è proprietà esclusiva di Dio, e

chi crede invece nella responsabilità della vita, che dipende dalla libertà di autodeterminazione

individuale. Ma il terreno di questo dialogo deve essere la libertà di tutti i cittadini, credenti o non

credenti, di scegliere in base alle proprie convinzioni e il proprio progetto di vita, che cosa accettare

e cosa rifiutare».