HOME PAGE          SOMMARIO TEMI


I peccati della Chiesa

di Filippo Ceccarelli

“la Repubblica” del 17 marzo 2009

A proposito di odio, morsi, divoramenti in Vaticano e dentro la Chiesa: eh, figurarsi, non è mica la

prima volta, da quelle parti la storia offre molto di peggio. E dunque, tenendosi larghi e vaghi, per

non dire indulgenti: stragi, avvelenamenti, saccheggi, roghi, torture, idolatrie, simonie, traffici,

nepotismi, incesti, pedofilia, riesumazione e vilipendio di cadaveri, con tanto sacri paramenti

indosso, e a lungo si potrebbe continuare, secolo dopo secolo, con il soccorso di una imponente

documentazione.

A chi invoca a tutto spiano il premiato binomio Radici & Tradizione contro le magagne del presente

relativismo; a chi vede la speranza o addirittura intravede la salvezza nel passato trionfale

dell'autorità pontificia, forte di valori antichi e inflessibile nella vera fede, si raccomanda vivamente

di buttare un occhio su quest'ultimo volume di Claudio Rendina, instancabile erudito che con la

consueta asciuttezza si misura questa volta su La Santa Casta della Chiesa (Newton Compton,

pagg. 383, euro 12,90). Inevitabilmente suggestivo il sottotitolo: "Duemila anni di intrighi, delitti,

lussurie, inganni e mercimonio tra papi, vescovi, sacerdoti e cardinali". Così è, d'altra parte: e

continua pure.

Sarebbe ingiusto adesso sminuire il dramma anche personale di Benedetto XVI sulla conduzione

della Chiesa. E tuttavia, "nella consapevolezza del lungo respiro che essa possiede", come si legge

nella lettera da lui pubblicata l'altro giorno sull'Osservatore romano, occorrerà riconoscere che ad

alcuni predecessori di Joseph Ratzinger è andata decisamente peggio; così come altri papi assai più

di lui certamente fallirono, o nel modo più spaventoso vennero consigliati, altro che mancata

consultazione "mediante l'internet".

Il campionario di Rendina, le cui diverse cronologie e gli approfondimenti di storia pontificia si

trovano pur sempre nelle librerie intorno alla Santa Sede, offre in questo senso una rimarchevole

varietà di esempi: papi eletti tre volte, papi saliti sul sacro trono a suon di quattrini, papi mezzi atei

o interamente pagani, papi davvero molto attaccati alle loro famiglie, tanto da battezzare il

"nepotismo", papi assassini, bruti, spergiuri, ladroni, perversi, dementi e biscazzieri. Ce n'è uno,

Giovanni XII, probabile record-man dei secoli bui, che nominò vescovo il suo amante, un ragazzino

di 10 anni, e che scoperto a letto con l'amica, venne poi buttato giù dalla finestra. Ce n'è un altro ben

più famoso, Alessandro VI, della famiglia Borgia, che ne fece a tal punto di cotte e di crude, pure la

corrida sotto il Cupolone, che nei santini distribuiti "in solemnitate pascali" lo scorso anno nella

basilica di San Pietro, e recanti l'immagine de La Resurrezione di Cristo del Pinturicchio, ecco, quel

papa lì, che per giunta era il committente dell'opera, ecco, risulta cancellato dal quadro, come nelle

foto della nomenklatura sovietica dopo le purghe.

E saranno anche vicende che si perdono nella notte dei tempi, cosa ovvia per un'istituzione

bimillenaria. Ma insomma, prima di Rendina, il peccato che sin dall'inizio grava sulla Chiesa ha del

resto ispirato la più alta poesia e letteratura, da Iacopone a Dante, da Petrarca fino al Belli, e oltre.

Tutto però sembra oggi rimosso dal discorso pubblico e in particolare dall'armamentario teo-con -

secondo l'antica pratica, peraltro evangelica, della pagliuzza e della trave. Dai primissimi commerci

di loculi e reliquie nelle catacombe alla controversa carriera dell'odierno comandante delle Guardie

Svizzere; dalle torture dell'Inquisizione alle turpi pratiche del fondatore dei Legionari di Cristo,

Marcial Maciel, su degli innocenti; dalle cortigiane che nella Curia cinquecentesca si comportavano

come autentiche "papesse" fino alle speculazioni edilizie post-risorgimentali, il libro di Rendina

certamente si presenta come un caleidoscopio di nequizie ecclesiastiche, un prontuario di

immoralità vaticana da far sembrare Dan Brown uno sprovveduto principiante.

Ma al dunque si può e forse addirittura si dovrebbero leggere, queste pagine, come un saggio storico

sulla genealogia e gli sviluppi imprevisti di un potere che più di ogni altro sulla faccia della terra

costringe degli uomini con la mantella bianca a fare i conti con l'essenza del sacro e al tempo stesso

con le inesorabili necessità del profano; e quanto più tale sovranità si concentra sulla materia, sui

corpi, sul denaro, sulle apparenze, tanto più automaticamente ne risente lo spirito o lo Spirito, se si

preferisce. E sebbene anche per Santa Romana Chiesa i tempi sono quelli che sono, tempi di paure,

di ritorni, di sbarramenti, sarebbe sbagliato liquidare questa torbida rievocazione come parte del

solito complotto laicista. E non solo perché l'autore è fuori dai giri e anzi, per dire, sulla questione

delle responsabilità di Pio XII nell'Olocausto sposa la tesi opposta, sostenendo che la Santa Sede

mise in salvo 600 mila ebrei "con un impegno finanziario non indifferente". Ma soprattutto perché

da una lettura distaccata e senza pregiudizi appare chiarissimo come in una storia così lunga e così

umana per ogni infamia c'è sempre un'eroica virtù; e quindi a ogni mascalzone della Santa Casta

corrisponde un santo, a ogni sacro carnefice o barattiere un Francesco d'Assisi, a ogni Borgia un

Filippo Neri, a ogni Marcinkus una Madre Teresa di Calcutta.

Questa necessitata ambivalenza si meriterebbe forse una maggiore umiltà. Adesso, per dire, c'è la

crisi. Quando se ne videro i primi effetti, nell'autunno scorso, un intelligente uomo di banca, nonché

autorevole editorialista dell'Osservatore romano, Ettore Gotti Tedeschi, già segnalatosi per aver

consigliato ai manager di fare gli esercizi spirituali, ha spiegato grosso modo in un'intervista che

alle origini del disastro finanziario c'è l'etica dei banchieri protestanti, mentre i nostri uomini di

finanza, cioè cattolici, "sono in grandissima parte seri, trasparenti e dotati di visione etica".

E meno male che c'è da stare tranquilli! Però poi subito viene da pensare ai bacetti di Fiorani al pio

governatore Fazio, o al crack Parmalat e al mega-cattolico Tanzi che scarrozzava cardinali con il

suo aeroplano; ed è un peccato che non si possa sentire al riguardo Nino Andreatta, che fu ministro

del Tesoro ed ebbe il suo da fare ai tempi dello scandalo Ior; per non dire Sindona e Calvi, poveri

morti ammazzati, entrambi a suo tempo "banchieri di Dio". Che invece Iddio non ne avrebbe tanto

bisogno, di banchieri personali o nazionali, a differenza del Vaticano, che invece sono duemila anni

che si accanisce e si avvilisce appresso a Mammona in forma di tariffe penitenziali, vendita

d'indulgenze, proficue crociate, fabbricazione di giubilei, peripezie valutarie, funambolismi azionari

e finanziari. E che magari adesso, in qualche missione "sui iuris" alle Cayman, qualche titoletto

tossico nel portafoglio se lo potrebbe anche ritrovare, come del resto è già capitato nelle migliori

famiglie della finanza.

Dell'economia e perciò anche della crisi e delle sue vittime il Papa, che ha già detto tante buone

parole, pubblicherà presto un'enciclica sociale, "Caritas in veritate". Il titolo suona piuttosto

impegnativo, ma certo un gesto simbolico non guasterebbe. Nel frattempo, rispetto a odio, morsi,

divoramenti e umane debolezze, vale comunque il salmo 129: "Si iniquitates observaveris, Domine,

quis sustinebit?". Se consideri solo le colpe, o Signore, chi mai potrà esistere