di Stefano Rodotà,
da Repubblica, 22 febbraio 2014
Dal 1949, quando comparve 1984 di George Orwell, per molto tempo 
sulle nostre società si è allungata l’ombra dell’utopia negativa del Grande 
Fratello. Con il passare degli anni, e con la continua crescita delle 
possibilità di raccogliere dati personali grazie alle tecnologie 
dell’informazione e della comunicazione, era divenuto via via più pressante 
l’invito a rivolgere lo sguardo piuttosto al moltiplicarsi dei Piccoli Fratelli, 
che penetravano nelle società rendendo concreta una sorveglianza diffusa sulle 
persone. Molti di questi Piccoli Fratelli sono poi cresciuti, hanno assunto le 
sembianze di Google o di Facebook, fino a quando il Datagate ha rivelato 
l’esistenza di un soggetto, l’americana National Security Agency, dove potevano 
essere riconosciuti i tratti di un vero Grande Fratello planetario.
Abbandonando questo schema, Zygmunt Bauman e David Lyon dialogano 
mettendo in evidenza una più profonda trasformazione della società, ormai 
posseduta integralmente dalle logiche della sorveglianza, non più imputabile a 
questo o quel soggetto, ma divenuta un suo dato strutturale (Sesto 
potere. La sorveglianza nella modernità liquida, 
traduzione di M. Cupellaro, Laterza). Non siamo di fonte a una variazione nella 
letteratura sulla morte della privacy, ma a una riflessione sulla sorveglianza 
«liquida, perché è cruciale cogliere i modi in cui essa si infiltra nella linfa 
vitale della contemporaneità» fino a distruggerla, facendo regredire la persona 
alla condizione di puro oggetto sul quale si esercitano poteri fondati, in 
definitiva, sull’imperativo della sicurezza e sulle pretese del mercato.
L’oggetto della riflessione, allora, divengono la effettiva 
distribuzione e il concreto esercizio del potere, facendo emergere 
l’inadeguatezza della politica, l’impotenza degli Stati nazionali e, 
drammaticamente, anche una sorta di impossibilità individuale e collettiva di 
opporsi a questo processo. L’orizzonte è quello della ricerca di Bauman sulla 
modernità liquida che, tuttavia, non diviene uno schema costrittivo, perché 
David Lyon, con le sue domande, sollecita anche un confronto con molte delle 
posizioni emerse nella discussione contemporanea sulla sorveglianza, con una 
ricchezza di riferimenti che qui possono essere colti solo in parte. Ma i veri 
interlocutori finiscono con l’essere altri - Jeremy Bentham, con la sua 
teorizzazione del Panopticon; Michel Foucault, per l’indagine sul dispositivo 
della sicurezza; e l’assai più lontano Etienne de la Boétie, l’autore del Discorso 
sulla servitù volontaria.
Tutti i processi di trasformazione della persona, infatti, 
vengono descritti non tanto come l’effetto di una costante imposizione esterna, 
ma come il risultato di processi che costruiscono le condizioni propizie perché 
ciascuno accetti le servitù che gli vengono imposte, se non vuole essere vittima 
dei processi di esclusione che innervano la società della sorveglianza. Siamo 
così di fronte ad una nuova antropologia, nella trasformazione delle persone in 
“hyperlinkumani”, in entità bisognose di cogliere ogni occasione di visibilità, 
mettendo in rete qualsiasi informazione personale, contribuendo così alla 
“profilazione fai da te”. L’insistenza sull’assoggettamento volontario, 
tuttavia, non fa dare il giusto rilievo al parallelo processo di espropriazione 
dell’autonomia delle persone, consegnate agli algoritmi e alle tecniche 
probabilistiche che costruiscono una identità ad esse ignota, che ipoteca il 
loro futuro.
La sorveglianza si manifesta così come un dispositivo di 
esclusione, che rende non più utilizzabile lo schema del Panopticon, la 
costruzione circolare che consente ai carcerieri di vedere i detenuti senza 
esser visti e che, con le sue mura, è il simbolo della modernità “solida”. Al 
suo posto vengono insediati un Banopticon, le raccolte di dati in base alle 
quali si costruiscono i profili dei soggetti da escludere; e un Synopticon, che 
coinvolge ogni persona nei processi di sorveglianza. Poiché all’origine di tutto 
è l’ininterrotta raccolta di ogni informazioni, non è un caso che il libro si 
apra enfatizzando il ruolo dei droni, le macchine volanti sempre più 
miniaturizzate, capaci di giungere in ogni luogo e di impadronirsi dei dati in 
una condizione di quasi invisibilità, emblema estremo della liquidità.
Una nuova società è di fronte a noi, riconducibile alla “passione 
moderna per la costruzione di un ordine”, che portò ai campi di concentramento 
di nazismo e fascismo, dei quali i processi di selezione sociale della società 
della sorveglianza si presentano come la prosecuzione, sia pure in forme più 
blande ehigh tech. E in uno schema così compatto ed estremo non riescono ad 
aprire brecce le domande con le quali Lyon cerca di indurre Bauman a una 
considerazione più articolata della rivoluzione tecnologica, con una amputazione 
dell’analisi che rischia di rendere più debole la ricostruzione complessiva, che 
non a caso trascura tutti i contributi che cercano di segnalare le possibilità 
di intervenire attivamente per contrastare la logica della sorveglianza.
Si torna così al tema del potere, che “evapora” nella spazio dei 
flussi planetari dell’informazione, e della politica ricacciata nei luoghi 
fisici degli Stati nazionali. Una politica per ciò impotente, se non recupera la 
dimensione globale, anche per far sì che la ricostruzione negativa possa 
divenire una di quelle distopie che si autosmentiscono. Vero è che, perché 
questo accada, è indispensabile uno “slancio d’azione” (qui Bauman cita Gramsci) 
che compare come speranza nelle battute finali del dialogo, indicando la strada 
di “un’etica della cura” che recuperi integralmente la considerazione 
“dell’Altro” e induca a fissare il limite nel rispetto della dignità della 
persona. Tutto questo, però, viene collocato piuttosto in un recupero della 
trascendenza più che nella fiducia dell’azione individuale e collettiva. Ma 
siamo davvero sicuri che non sia più possibile continuare a seguire anche questa 
strada?