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Ior signori

 

di Valerio Gigante

 

MicroMega n. 2 del marzo 2014

 

Al di là di ogni giudizio di merito che si può dare sul pontificato di papa Bergoglio, è indubitabile che il suo arrivo sul soglio di Pietro abbia portato in pochi mesi risultati straordinari in termini di riconquistata credibilità da parte della Chiesa cattolica e fiducia dei fedeli nell'istituzione ecclesiastica, precipitata negli ultimi anni in un abisso senza precedenti nella storia recente, a causa dei ripetuti scandali finanziari, delle vicende legate alla pedofilia tra il clero, dei controversi rapporti con la politica, l'economia, la finanza. Secondo i risultati di un sondaggio che ha coinvolto 12 mila cattolici in 12 diversi paesi, realizzato da Bendixen & Amandi per Univision News, la principale tv in spagnolo d'America, e pubblicato in Italia dalla Repubblica (9 febbraio 2014), il gradimento su scala internazionale di Jorge Mario Bergoglio, a quasi un anno dalla sua elezione nel conclave (13 marzo 2013), è altissimo: ben superiore all'80 per cento, con un dissenso contenuto al di sotto del 5 per cento. In Italia, addirittura per circa il 99 per cento degli intervistati l'operato di Francesco viene giudicato «eccellente» o «buono». Dati che si aggiungono a quelli diffusi a gennaio dalla prefettura della Casa pontificia, secondo i quali sono quasi 7 milioni i fedeli che hanno partecipato agli incontri con papa Francesco a partire dalla sua elezione: udienze generali (oltre 1 milione e mezzo) e particolari (quasi centomila); celebrazioni liturgiche nella Basilica vaticana e in piazza San Pietro (oltre 2 milioni), Angelus e Regina Coeli (quasi tre milioni). Numeri, ha chiarito il Vaticano, che non includono le grandi kermesse, come il viaggio apostolico in Brasile nel mese di luglio 2013 per la celebrazione della Giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro e le partecipatissime celebrazioni tenute dal papa in alcune località italiane, come Lampedusa, Cagliari e Assisi; e nemmeno le visite pastorali nelle parrocchie della diocesi di Roma. Rispetto a quelle pubblicate dalla prefettura della Casa pontificia a fine 2005 (Joseph Ratzinger era stato eletto papa il 19 aprile), si tratta di cifre tre volte superiori. A tutto ciò andrebbe aggiunto l'interesse enorme che questo papa sta suscitando presso i media laici e cattolici. E il numero crescente di fedeli che è tornato a frequentare le chiese e i sacramenti (comunioni, battesimi e confessioni sono dati in considerevole aumento un po' in tutto il mondo, a sentire le dichiarazioni rilasciate dai vescovi in questi mesi).

 

La 'centralità' dello Ior

 

Insomma, nel senso comune laico e cattolico papa Francesco è il papa che sta cambiando il volto della Chiesa. Anzi, per usare un  termine che ormai è abusato da stampa e televisioni, sta attuando  una «rivoluzione» (o, al limite, quando anche ai cronisti più entusiasti di papa Francesco il termine pare decisamente eccessivo, oltre che un po' inflazionato, si preferisce più modestamente parlare di «strappo» o «svolta»). Tra tutti gli enormi meriti che gli vengono quasi unanimemente e universalmente riconosciuti, c'è soprattutto quello di essere il malleus maleficarum di ogni lobby di potere annidata in Vaticanolstrenudifensordellpovertà  della  Chiesa,  il  grande  profeta  della  trasparenza finanziaria.

 

In questo contesto, una particolare importanza sta rivestendo per l'immagine stessa di questo pontificato la questione dello Ior, l'Istituto delle opere religiose che da decenni rappresenta ormai per molti la quintessenza della corruzione mondana della Chiesa, il segno concreto del pericoloso intreccio tra Dio e Mammona, della presenza nella Chiesa di interessi inconfessabili e torbide lotte di potere. Oggi invece, sui tram e sui luoghi di lavoro, al bar come in parrocchia, quando si parla di Ior lo si fa per affermare che finalmente il papa sta facendo «pulizia». Per poi concludere con la sconfortata constatazione, non priva del sottile compiacimento di chi vuol mostrare di saperla lunga, che se continua così, questo papa «non lo faranno durare tant.

E quindi evidente che sullo Ior e sulle finanze vaticane si giochi una buona fetta della strategia di recupero di immagine e di credibilità che questo papa sta giocando presso l'opinione pubblica. Ma al di là della retorica che accompagna puntualmente ed enfaticamente ogni singolo atto di questo pontificato, un'analisi attenta proprio della questione dello Ior fa emergere con ancora più nettezza di quanto non avvenga in altri contesti che l'azione politica e pastorale di Bergoglio si pone in realtà in continui, seppure «dialettica», con il pontificato precedente. E non certo in quella contrapposizione forte e radicale con lo status quo con cui di solito viene descritta. Piuttosto, le scelte di Bergoglio non fanno che registrare ed accompagnare il travagliato cambio dei rapporti di forza all'interno degli organismi dove si concentra il potere e la ricchezza del Vaticano. E che negli anni scorsi hanno determinato un conflitto di tale intensità tra le cordate che rappresentano e che incarnano i diversi interessi in campo, da produrre una fuoriuscita senza precedenti di documenti, lettere riservate, voci e dossier (il cosiddetto VatiLeaks). E da precipitare la Chiesa in una delle crisi più profonde dell'ultimo secolo.

 

Alle origini della 'riforma'

 

Se si guardano i processi a partire dal loro inizio, si scopre facilmente che la «riforma» dello Ior è in realtà cominciata già alla fine del 2010.

È in quel periodo che, a seguito dell'avvio delle indagini della procura di Roma su alcuni movimenti su un conto corrente Ior acceso presso il Credito artigiano, in Vaticano molti avvertirono l'esigenza di

un cambio di strategia. Anche perché a livello internazionale vi era più di un segnale di preoccupazione: il Vaticano, paese extracomunitario, non era infatti ancora incluso nella white list dei paesi «certificati» in materia di trasparenza e antiriciclaggio da parte di Moneyval, la commissione di esperti sulla valutazione delle misure di antiriciclaggio monetario e di terrorismo finanziario del Consiglio d'Europa che da anni tiene lo Ior sotto osservazione e che dovrebbe dare il via libera definitivo all'ingresso del Vaticano nella white list nel 2015, quando tutti i punti critici indicati dall'organismo europeo saranno stati risolti. Senza una certificazione internazionale lo Ior corre il rischio di compromettere seriamente la propria reale capacità di operare con gli istituti di credito nazionali e comunitari. E ci sono state in questi anni importanti avvisaglie di questo scenario.

 

Una prima, importante, fu l'uscita dal consiglio di sovrintendenza dello Ior (il board dell'Istituto, nominato da una commissione di cardinali e responsabile dell'amministrazione e della gestione, della vigilanza e supervisione delle sue attività sul piano finanziario, economico e operativo) del consigliere Giovanni De Censi, avvenuta alla fine del 2010 e senza apparenti ragioni. De Censi, presidente del Credito valtellinese (che ha incorporato il Credito artigiano) guidava una banca che Oltretevere era considerata tradizionalmente amica. Presso questo istituto lo Ior possedeva anche diversi conti correnti, su cui operava in maniera consistente. Ma proprio da una segnalazione del Credito artigiano sulle operazioni fatte su uno di questi conti, il n. 49557, partì l'informativa della Banca d'Italia da cui aveva preso avvio l'indagine giudiziaria della procura di Roma. Già però dall'aprile 2009 la Banca d'Italia aveva segnalato alle autorità la criticità di un conto corrente aperto dallo Ior presso la filiale 204 dell'ex Banca di Roma, in via della Conciliazione, a meno di 200 metri da piazza San Pietro, dove in due anni erano transitati quasi 200 milioni di euro. Il 28 gennaio 2010 la Banca d'Italia comunicava al Credito valtellinese che, poiché lo Stato della Città del Vaticano era incluso nella lista dei paesi extracomunitari, nei rapporti con lo Ior si dovevano applicare gli obblighi rafforzati - e non semplificati - di adeguata verifica della clientela previsti dal decreto 231, il dispositivo che dal 2007 ha recepito nell'ordinamento italiano la direttiva europea 60 del 2005 introducendo nelle aziende i controlli interni come strumento di prevenzione dei reati e che prevede sanzioni severe (anche la chiusura dell'attività o il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione) per le aziende responsabili di non avere impedito ai propri dipendenti di commettere reati nell'interesse della società. In sostanza, il Credito artigiano avrebbe dovuto acquisire l'impegno formale dello Ior a identificare i clienti, ad assolvere gli obblighi di adeguata verifica, a fornire un flusso informativo periodico che consentisse di associare a precisi clienti la movimentazione di assegni, l'esecuzione di bonifici, le operazioni in contanti. In una nota del 4 marzo 2010, la Banca d'Italia segnalava che erano «emerse difficoltà» nell'applicazione di quegli obblighi e aggiungeva che, in caso di mancato rispetto della normativa antiricilaggio, le banche italiane dovevano astenersi dall'esecuzione di operazioni e segnalarle come «sospett. Il Credito artigiano si attivò per far rispettare il decreto allo Ior, ma senza risultati. Perciò, il 15 aprile 2010 comunicò a Banca d'Italia e Ior di aver bloccato l'operatività del conto n. 49557. Ciononostante, il 6 settembre 2010 la «banca» vaticana chiese di poter eseguire due bonifici di 3 e 23 milioni di euro a favore di conti su Banca del Fucino e JpMorgan di Francoforte dal proprio conto presso il Credito artigiano, senza specificare le informazioni richieste. Lo Ior si aspettava probabilmente che il Credito artigiano di fronte a questa forzatura cedesse. Invece la banca scrisse all'Uif (l'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia incaricata di ricevere e approfondire segnalazioni di operazioni sospette e altre informazioni inerenti il riciclaggio) di non essere in grado di adempiere agli obblighi previsti dal decreto 231 e che per questo sospendeva le operazioni richieste dallo Ior. Il 15 settembre l'Uif congelò i bonifici e il 21 il giudice ne ordinò il sequestro preventivo per violazione della normativa antiriclaggio.

Il denaro sarebbe transitato - secondo l'ipotesi della procura - dallo Ior alla JpMorgan Frankfurt (20 milioni) e alla Banca del Fucino (3 milioni). L'allora presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e l'allora direttore generale Paolo Cipriani furono così iscritti nel registro degli indagati cori l'ipotesi di alcune omissioni in relazione alla normativa antiriciclaggio.

 

Nel frattempo, probabilmente in seguito alla pressante attenzione sullo Ior da parte di Bankitalia e della procura di Roma, il 15 febbraio 2012 JpMorgan aveva deciso di chiudere il proprio conto presso lo Ior. Un fatto piuttosto raro, visti gli enormi vantaggi che un conto del genere garantisce.

I legami tra Ior e JpMorgan erano molto forti. Secondo la procura di Roma, attraverso una serie di bonifici per decine e decine di milioni di euro i soldi del Vaticano avevano progressivamente lasciato le banche italiane, come l'Unicredit (evidentemente considerate ormai poco «sicure» perc sottoposte alla continua vigilanza della Banca d'Italia), per dirigersi proprio verso la filiale di Francoforte della JpMorgan. Ha raccontato Marco Lillo sul Fatto Quotidiano (21 marzo 2012) che lo Ior, per effettuare i suoi bonifici milionari, si serviva di un conto aperto presso l'unico sportello della banca americana JpMorgan in Italia, a Milano: il conto 1365. «In forza di una clausola contrattuale», scrive Lillo, «il saldo di fine giornata deve essere sempre riportato a zero e il suo contenuto refluisce sul conto Ior a Francoforte. Di fatto una sorta di "cavallo di Troia" attraverso il quale lo Ior operava in Italia, con movimenti che nell'arco di un anno e mezzo avevano superato il miliardo e mezzo. Nell'ottobre 2011, la procura di

Roma chiede all'Uif di approfondire. Gli ispettori di Bankitalia chiesero quindi a JpMorgan informazioni sui reali intestatari dei soldi movimentati dallo Ior. JpMorgan girò le richieste allo Ior senza risultato. E allora, il 15 febbraio, per evitare guai, JpMorgan comunicò allo Ior la chiusura definitiva del conto a partire dal 30 marzo 2012.

 

'Strisciate' a vuoto

 

Un altro caso clamoroso è quello avvenuto a gennaio 2013, quando la Banca d'Italia ordinò lo stop ai pagamenti tramite bancomat e carte di credito all'interno delle mura vaticane a Deutsche Bank Italia, che aveva la gestione dei terminali Pos, cioè le macchinette dove «strisciare» le carte, poiché la Banca tedesca era priva dell'autorizzazione necessaria per operare in Stati che agiscono fuori dalle normative dell'Unione europea, come appunto era il Vaticano. La vigilanza della Banca d'Italia aveva già respinto la richiesta di «sanatoria» che era stata avanzata da Deutsche Bank Italia per i Pos che essa aveva installati presso il Vaticano. Il caso andò su tutti i giornali e fece grande clamore, arrecando danno ai tanti turisti e visitatori dall'Italia e dall'estero e provocando un enorme danno economico e di immagine al Vaticano. La vicenda fu formalmente risolta in febbraio, con l'avvicendamento tra Deutsche Bank e la svizzera Aduno. Ma solo in parte perché se i Pos furono riattivati, servì diverso tempo ancora prima che lo fossero i pagamenti online. Con gravi danni per l'acquisto di francobolli e monete (su cui il business vaticano è da sempre assai florido), ma anche dei biglietti di musei, visite guidate, libri d'arte eccetera.

 

E ancora la recente richiesta di custodia cautelare in carcere per monsignor Nunzio Scarano, l'ex contabile dell'Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), già agli arresti domiciliari, dal 28 giugno 2013, per un'inchiesta che ruota attorno al tentativo di Scarano di far rientrare dalla Svizzera, a bordo di un jet privato, 20 milioni di euro in contanti di proprietà di alcuni amici del prelato. L'attuale inchiesta avrebbe invece accertato false donazioni per 6 milioni di euro provenienti da società offshore, transitate su conti aperti all'agenzia Unicredit di via della Conciliazione e allo Ior, intestati al religioso. Con il denaro, Scarano avrebbe anche proceduto a investimenti societari e all'acquisto di quadri d'autore, restituendo parte delle ingenti somme ai titolari, una volta che il denaro fosse stato «ripulito».

Trasparenza pelosa

Insomma, è in questo contesto (e non certo per ragioni etiche, invocabili oggi come potevano

esserlo 20-30 o 40 anni fa) che in Vaticano ci si è orientati per una decisa sterzata a favore della

trasparenza finanziaria. Una prima normativa antiriciclaggio fu emanata nel dicembre 2010 e doveva entrare

in vigore nell'aprile 2011. Si istituiva - sul modello dell'Uif della Banca d'Italia - l'Aif, un'agenzia per la

vigilanza e l'informazione finanziaria per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio e del finanziamento

del terrorismo. Lo Ior, sottoposto al controllo dell'Aif; avrebbe dovuto collaborare con questo nuovo

organismo al fine di fornire tutte le informazioni richieste dalla giustizia italiana, anche sui fatti precedenti

l'aprile del 2011. In questo modo però, le autorità giudiziarie e bancarie italiane sarebbero state in grado di

mettere il naso (tramite l'Aif) nei segreti dello Ior. Segreti forse troppo imbarazzanti. E infatti c'era chi in

Vaticano sosteneva che l'Aif non dovesse avere poteri di ispezione sui movimenti bancari. O almeno non su

quelli precedenti l'aprile del 2011. La ragione di fondo di questa opposizione risiedeva nel pericolo di

una perdita di autonomia della Città del Vaticano come Stato sovrano, con l'avvento di organismi di

garanzia e norme tali da farlo passare di fatto sotto il controllo dei poteri bancari e giudiziari italiani ed

europei. Inoltre, la segretezza sui titolari dei conti correnti accesi allo Ior e sui movimenti bancari,

garantiti dall'extraterritorialità vaticana e dalle norme concordatarie che hanno sempre messo al riparo le

finanze vaticane da controlli o ingerenze esterne, hanno fatto molto comodo a molti. Oltreoceano e

non, lo Ior è stato utilizzato come canale di transito per capitali con destinazioni che dovevano restare

segrete, o per operazioni illecite di ripulitura e riciclaggio. Per la «banca» vaticana (in realtà la funzione

di banca è svolta formalmente da un altro ente vaticano, l'Apsa, Amministrazione del patrimonio della

Sede apostolica) sono transitati i fondi destinati a sostenere la guerriglia controrivoluzionaria in America

Latina o i regimi dittatoriali in Centro e Sudamerica; o i soldi destinati a finanziare Solidarnosc e altri

movimenti di opposizione al socialismo reale nell'Europa dell'Est; o quelli (lo ha raccontato

puntualmente il libro di Gianluigi Nuzzi Vaticano spa) serviti a pagare la maxitangente Enimont.

Così, il 25 gennaio 2012 un decreto del presidente del Governatorato vaticano (l'organismo che

esercita il potere esecutivo nello Stato della Città del Vaticano), l'arcivescovo Bertello (vicino

all'allora segretario di Stato Bertone), privava l'Aif dei poteri di ispezione, rimessi a successivi

regolamenti da emanare. Con la conseguenza che le indagini bancarie e giudiziarie dello Stato italiano

si arenarono. Scoppiò all'epoca tra i prelati di curia e le lobby economico-finanziarie vaticane una crisi

senza precedenti, un conflitto insanabile e violentissimo, che indusse alla fine Benedetto XVI al

clamoroso gesto delle dimissioni. Sotto Ratzinger, il segretario di Stato Bertone aveva scelto di schierarsi

con i «conservatori», che avevano trovato il loro punto di forza nella lobby dei Cavalieri di Colombo,

una potente organizzazione cattolica statunitense vicina ai repubblicani (ne hanno fatto parte il fratello di

Georg W. Bush e Rick Santorum). I Cavalieri gestiscono un immenso patrimonio assicurativo e negli

ultimi anni hanno foraggiato i bilanci dimagriti del Vaticano. Dall'altra parte gli «innovatori», cioè quei

laici ed ecclesiastici che ritengono inevitabile l'adeguamento alla cornice internazionale. Tra questi i

cardinali Tauran e Nicora (che dell'Aif era divenuto il presidente), entrambi membri della commissione

cardinalizia che vigila sul board di laici che governa lo Ior (Nicora ha lasciato il suo posto all'inizio del

2013, Tauran vi è stato recentemente riconfermato da papa Francesco), ma anche potenti lobby come

l'Opus Dei e i Cavalieri di Malta, che nel febbraio 2013 sono riusciti a far eleggere alla guida dello Ior il

leader della loro organizzazione in Germania, l'armatore tedesco Ernst von Fryberg, nove mesi dopo che

l'opusdeista Ettore Gotti Tedeschi era stato defenestrato nelle fasi più intense dello scontro (tra l'altro

temporaneamente sostituito dal capo supremo dei Cavalieri di Colombo, il banchiere Carl Anderson, quasi a

segnare i passaggi delle alterne fortune delle due correnti che si contendono l'egemonia delle finanze

vaticane).

L'elezione di Francesco ha segnato una decisa vittoria dell'ala anticuriale della gerarchia ecclesiastica,

saldatasi a quelle lobby più favorevoli alla trasparenza, funzionale a garantire allo Ior operatività sulle piazze

italiane ed europee, ma anche ad arginare il discredito in cui negli ultimi anni la Chiesa cattolica è

precipitata, con conseguenze pesantissime in termini di consenso, ma soprattutto in termini economici,

come dimostra il calo delle offerte e dei gettiti che provengono da quei paesi dove i credenti finanziano

direttamente le loro Chiese.

Il motu proprio di papa Francesco dell'8 agosto 2013, recepito in decreto del governatorato e

successivamente convertito in legge, la ormai nota «n. XVIII», ha così non solo reintegrato l'Aif nelle sue

prerogative originarie, ma le ha estese alla funzione strategica di vigilanza «prudenziale» sugli enti che

svolgono attività finanziaria, facendone il guardiano della galassia economica d'Oltretevere. con tanto

di potestà regolamentare. Poi, a novembre 2013, il papa ha anche emanato uno statuto dell'Aif.

Che oggi le tensioni siano tutt'altro che sedate lo di mostra la rivelazione fatta dal Messaggero il 18

febbraio scorso: la pubblicazione. cioè, di una lettera all'attuale segretario di Stato vaticano Parolin, datata

16 gennaio 2014, firmata dall'intero consiglio direttivo dell'Aif, in cui si critica duramente l'operato del

direttore, René Brülhart e si denuncia «il perdurare della situazione di opacità informativa». C'è da dire

che Brülhart fu scelto da Bertone. E che fu lui proprio lui, all'inizio del 2012, quando ancora non era

diventato direttore dell'Aif (lo divenne in settembre), ma «solo» consulente della segreteria di Stato

vaticana, a emendare le norme emanate da Ratzinger alla fine del 2010, per depotenziare struttura e funzioni

dell'Aif. Mettendosi così in rotta di collisione con i «riformatori»; in particolare con il cardinale

Nicora, Gotti Tedeschi ed il thinkthank della Banca d'Italia che aveva aiutato il Vaticano a mettere su la

struttura dell'Aif sul modello dell'Uif di via Nazionale. Dalla Banca d'Italia, peraltro, provengono due

degli attuali membri del direttivo dell'Aif che hanno firmato la missiva contro Brülhart, Marcello

Condemi e Francesco De Pasquale.

Nomine da manuale. Cencelli

Qualcuno potrebbe però eccepire che questo papa ha comunque nominato una commissione per

mettere mano alla riforma dello Ior. Che vuole fare sul serio. In realtà, oltre al fatto che si tratta di

una commissione referente, essa non fa altro che rispecchiare proprio quei conflitti intestini all'interno

delle lobby economico-finanziarie interne alla Chiesa che dovrebbero essere l'oggetto della «riforma»:

vede infatti al suo interno la componente più vicina al capitale statunitense, rappresentata da figure

come monsignor Peter Brian Wells e dalla professoressa Mary Ann Glendon, che sostengono i

Cavalieri di Colombo, contrapposta a quella del cardinale Jean-Louis Tauran, che è invece vicino ai

Cavalieri di Malta, e del coordinatore della commissione (colui che fisicamente ha il compito di recarsi

allo Ior per l'acquisizione di documenti), il vescovo spagnolo Juan Ignacio Arrieta Ochoa de

Chinchetru, membro dell'Opus Dei. A presiederla il cardinal Raffaele Farina, salesiano, già vicino a

Bertone, dato oggi vicino ai «riformatori».

Stesso dicasi per i nuovi componenti della commissione cardinalizia dello Ior, che ha tra i suoi

compiti quello di nominare i membri del consiglio di sovrintendenza dell'Istituto, l'equivalente del

consiglio di amministrazione. Nomine attese già da tempo, nonostante l'intera commissione fosse stata

rinnovata solo il 18 febbraio del 2013. Si trattava però di una designazione avvenuta dopo l'annuncio

delle dimissioni di Benedetto XVI, in cui in molli videro il tentativo del gruppo di potere legato a

Bertone di mantenere serrate le file. Difficile quindi che il nuovo papa accettasse di mantenere

inalterata la composizione dell'organismo, specie dopo avere a più riprese prefigurato una riforma

complessiva dello Ior. L'unico cardinale confermato in commissione è Jean-Luis Tauran (che peraltro

fa parte anche della commissione referente sulla cosiddetta banca vaticana). Ad uscire sono invece il

cardinal Tarcisio Bertone (che all'Opus aveva voltato le spalle dopo il clamoroso caso della

defenestrazione del presidente opusdeista dello Ior, Gotti Tedeschi), il cardinal Domenico Calcagno

(presidente dell'Apsa, già vicino a Bertone quando egli era segretario di Stato vaticano e comunque

indirettamente toccato dall'afferire Scarano, perché proprio all'Apsa il prelato lavorava come contabile),

i cardinali Odilo Pedro Scherer, brasiliano, arcivescovo di San Paolo, Telesphore Placidus Toppo,

indiano, arcivescovo di Ranchi, entrambi vicini al «partito americano». Dal 15 gennaio 2014 la

commissione ha cambiato i rapporti di forza interni e oggi, oltre che da Tauran, risulta composta dai

cardinali Christoph Schönborn, austriaco, arcivescovo di Vienna, tradizionalmente considerato amico

dell'Opera fondata da Escrivà de Balaguer, da Thomas Christopher Collins, canadese, arcivescovo di Toronto,

cavaliere di Colombo, e infine da due prelati ex diplomatici, entrambi assai vicini al nuovo papa: Santos

Abril y Castellò, spagnolo, arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore e il neosegretario di Stato,

monsignor Pietro Parolin. Stessa musica nel consiglio di sovrintendenza dello Ior, composto da Ernst

von Freyberg (presidente, Cavaliere di Malta), Carl A. Anderson (leader dei Cavalieri di Colombo),

Manuel Solo Serrano (Opus Dei, Ronaldo Hermann Schmitz (ex ad di Deutsche Bank, banca in relazioni

di affari molto intense col Vaticano) e Antonio Maria Marocco (Cassa di Risparmio di Torino, vicino alla

corrente dei «conservatori» e arrivato allo Ior grazie alla vicinanza al partito «bertoniano»).

Un nome, un programma

Ma che la vocazione dell'attuale papa non sia quella del rivoluzionario, lo rivela - paradossalmente -

lo stesso nome che ha scelto. Gli studi compiuti negli ultimi trent'anni dallo storico della Chiesa Giovanni

Miccoli hanno dimostrato come il movimento inaugurato da Francesco venne rapidamente integrato

dalla Chiesa, che aveva capito come per contrastare il fiorire di movimenti di riforma religiosa che si

stavano diffondendo ormai da tempo - valdesi, arnaldisti, catari, gioachimiti, patarini (che chiedevano

l'azzeramento della gerarchia, la sua sostituzione con un nuovo modello di Chiesa, in alcuni casi addirittura

invocavano la nullità dei sacramenti impartiti da ecclesiastici corrotti) - fosse necessario incoraggiare la

predicazione popolare di quei gruppi religiosi che pur manifestando idee anche radicali di riforma e

povertà evangelica, intendevano rimanere fedeli al papa e alla tradizione della Chiesa. Contro gli altri (come i

catari, contro cui fu indetta addirittura una crociata, durata dal 1209 al 1229), che minavano le

fondamenta stesse del potere della Chiesa, era invece inevitabile la condanna per eresia e la conseguente

sanguinosa repressione per chi rifiutava obbedienza e sottomissione. L'intuizione di papa Onorio III (e

del suo predecessore, Innocenzo III, che già aveva incoraggiato Francesco a proseguire nella sua

opera) fu ripresa dal successivo Concilio lateranense IV che legittimò gli Ordini mendicanti e diede

impulso alla predicazione popolare sotto il controllo della gerarchia. Così, domenicani e francescani,

al di là delle stesse intenzioni di Francesco e di tanti suoi seguaci che pure si batterono dentro il loro ordine

affinché prevalesse una lettura rigorosa e «integrale» della Regola, furono l'utile strumento che la Chiesa

esibì di fronte alle classi sociali più umili e di fronte a quelli che si scandalizzavano per il potere, la

mondanità, la corruzione della gerarchia; il nome e la tradizione di Francesco e del francescanesimo ha

spesso rappresentato l'utile «foglia di fico» con cui coprire e abbellire un sistema che si è perpetuato sempre

uguale a se stesso. Ma che è capace di integrare strumentalmente al suo interno le istanze più accettabili che

provengono dalla base, specie quando è in pericoloso fermento. A condizione, ovviamente, che esse siano

compatibili con le esigenze del sistema. Tra queste, oggi, c'è anche lo Ior