HOME PAGE CDB CHIERI 

LE CONSEGUENZE DELL’AMORE:
PARLA UNA DELLE DONNE CHE HA SCRITTO AL PAPA

Valerio Gigante

Adista  n° 20 del 31/5/2014

 

37660. ROMA-ADISTA. È successo ogni volta che il tema si è presentato alla ribalta dell’opinione pubblica che giornali e televisioni gli dessero grande rilevanza. Stavolta però, vuoi per il pontificato considerato di “rottura”, vuoi per un’opinione pubblica attenta ad ogni segnale di novità o di “svolta”, vuoi per un episcopato, quello italiano, in fase di transizione (e che quindi rende i media maggiormente “intraprendenti” su temi tradizionalmente considerati “scomodi”), anche nel nostro Paese la lettera di 26 donne che amano preti ha prodotto enorme clamore e dibattito. 

Nel testo, rivelato da Vatican insider, ma pubblicato integralmente sulla homepage del nostro sito internet (www.adista.it), le firmatarie, che hanno voluto restare anonime (anche se nella raccomandata inviata in Vaticano hanno lasciato le loro generalità e recapiti telefonici), hanno detto a Francesco di essere «un piccolo campione» che parla a nome di tante che «vivono nel silenzio» e che chiede la revisione del celibato ecclesiastico.

«Vogliamo, con umiltà, porre ai tuoi piedi la nostra sofferenza affinché qualcosa possa cambiare non solo per noi, ma per il bene di tutta la Chiesa», scrivono. «Noi amiamo questi uomini, loro amano noi, e il più delle volte non si riesce pur con tutta la volontà possibile, a recidere un legame così solido e bello, che porta con sé purtroppo tutto il dolore del “non pienamente vissuto”. Una continua altalena di “tira e molla” che dilaniano l’anima».

«E allora ci chiediamo e ti chiediamo se è davvero giusto sacrificare l’Amore in virtù di un bene più alto e grande che è quello del servizio totale a Gesù e alla comunità, che a nostro avviso sarebbe svolto con maggiore slancio da un sacerdote che non ha dovuto rinunciare alla sua vocazione all’amore coniugale, unitamente a quella sacerdotale, e che sarebbe anche supportato dalla moglie e dai figli. Probabilmente gioverebbe all’intera comunità, si respirerebbe aria di famiglia, di libertà e accoglienza». Per discutere di tutto questo, chiedono un’udienza privata al papa: «Per portare davanti a te umilmente le nostre storie e le nostre esperienze, sperando di poter attivamente aiutare la Chiesa, che tanto amiamo, verso una possibile strada da intraprendere con prudenza e giudizio».

La lettera delle 26 non è la prima inviata ad un pontefice da donne che amano preti. Nel 2010 un’analoga iniziativa all’indirizzo di Benedetto XVI fu presa da un gruppo di donne che partecipano ad un blog all’interno del sito della rivista Il dialogo (di Monteforte Irpino) dedicato proprio al celibato ecclesiastico ed alle donne che hanno o hanno avuto relazioni con sacerdoti. 

Sulle questioni sollevate dall’iniziativa delle 26 donne Adista ha interpellato sia una delle firmatarie, di cui tuteliamo la volontà di restare anonima, sia Stefania Salomone, che da anni si occupa di animare il blog sul sito del dialogo.org e che è stata tra le promotrici della missiva del 2010. (valerio gigante)


«Maturi i tempi per la svolta». Intervista a una delle firmatarie


Nella vostra lettera chiedete al papa di riconsiderare il tema del celibato ecclesiastico, ma ancora di più, chiedete a lui un aiuto affinché il tema delle relazioni sentimentali che coinvolgono donne e preti esca dal clima di rimozione e clandestinità in cui oggi la Chiesa istituzionale lo relega. Cosa vi fa pensare che i tempi siano maturi per una svolta in questo senso?

I tempi per affrontare il tema del celibato obbligatorio sono maturi ormai da tempo. Ogni periodo storico ha delle sue peculiarità. Guardiamo al passato. Chi avrebbe pensato, anni addietro, di sollevare questo dibattito? Eppure anche anni fa i sacerdoti avevano storie con alcune donne. Nell’attuale contesto storico si è più propensi a chiedere il confronto sulle tematiche che si ritengono importanti. Culturalmente si è più preparati ad affrontare un tema spinoso come quello sollevato da noi donne. Se non si prova a cambiare, il cambiamento non arriverà mai. Dobbiamo essere pronti a far sentire la nostra voce. Crediamo che questo papa, presentatosi come il papa dell’ascolto e della misericordia, più dei suoi predecessori non possa fingere che questo problema non esista e che in cuor suo sappia che un sacerdote può essere tale anche se sposato.

Quanto è diffuso, per la percezione ed il confronto che avete tra di voi, il fenomeno di relazioni stabili tra preti e donne?

Dal confronto avuto in questi anni con numerose donne, il fenomeno è molto diffuso: da brevi relazioni passando a relazioni che durano anni, con immenso dolore per donne e sacerdoti (nella più facile delle ipotesi). Queste esperienze si sommano ad altre vissute più da vicino. Personalmente ho visto, nell’arco di appena quattro anni, un sacerdote che ha chiesto e ottenuto la dispensa (e che in passato mi risulta avesse anche sentito un’altra donna); il travaglio del sacerdote che è stato il mio compagno; il tormento di un altro sacerdote per la vicinanza di una donna e per il chiacchierare della gente. 

È proprio vero che ci si rende conto di qualcosa solo quando la si vive sulla propria pelle: mi fidai di quel sacerdote perché, un po’ come tutti, ho ingenuamente pensato che lui non potesse avere un interesse particolare verso di me. Era un pensiero che non mi aveva mai sfiorato. Invece quando sperimenti l’amore per un prete capisci che niente è impossibile, che tutto può capitare a tutti; quindi che non si deve mai giudicare o pensare “nella mia vita questo non accadrà mai”. Entrare in contatto con donne che hanno avuto la mia stessa esperienza mi ha aperto un mondo: siamo tantissime donne e tantissimi sacerdoti. Il fenomeno è più esteso di quanto si pensi. Tutte le barriere crollano, e scopri l’unica realtà: quella umana. Fatta di limiti e fragilità. Quando un sacerdote ama realmente una donna (e non è sempre così scontato) i due vivono i segni di in amore concreto. Vivono la relazione. La bellezza della relazione. Fatta di affettività e sessualità.  

Finora, a vostro giudizio, cos'è che ha realmente impedito alla Chiesa istituzionale di affrontare, addirittura di parlare di questo argomento?

A nostro giudizio vi sono diversi aspetti che non consentono alla Chiesa di affrontare l’argomento. Di base, la paura generalizzata di un vero cambiamento che presume un’inversione di rotta, un rimettere tutto in discussione. Insomma, cambiamenti vasti e conseguenze complesse. Forse la posizione più comoda per la Chiesa è lasciare tutto com'è. Mi chiedo se, a lungo termine, sarà un bene fingere che il celibato obbligatorio (istituito per tutelare i beni della Chiesa) sia una legge divina! La Chiesa DEVE affrontare queste tematiche, rimettendo i figli di Dio al centro dell'attenzione. Come si può accettare la sofferenza dei figli di Dio? Mi auguro che papa Francesco ci dia una risposta. Mi auguro che altre donne e sacerdoti facciano sentire con coraggio la loro voce e la loro sofferenza.


«Ancora molta la strada da fare». Intervista a Stefania Salomone


La lettera delle 26 ha suscitato enorme clamore, in Italia ed all’estero. Come giudichi i contenuti della missiva, e come mai a tuo giudizio i temi sottoposti da questo gruppo di donne al papa hanno prodotto un'eco così vasta?

Non poteva che essere così. La stessa cosa è accaduta quattro anni fa, quando, assieme ad altre nove donne, ho scritto la prima lettera aperta delle “donne dei preti” italiane al papa. L’interesse della stampa, specie quella estera, fu talmente grande da costringermi a spegnere il telefono perché non riuscivo a dare seguito a tutte le richieste. È un tema che suscita enorme curiosità nell’opinione pubblica. Si sa che i preti hanno storie sentimentali e/o sessuali, ma ci si limita a ridacchiarne o magari le si liquida con frettolose valutazioni moralistiche.

Difficilmente ci si interroga sul perché ad esempio una donna possa innamorarsi ed incominciare una storia già in partenza complicatissima, come quella con un prete o religioso. Semplice masochismo? Forse. Ma andrei un minimo più a fondo, considerando innanzitutto la valenza che “il senso del sacro” ha ancora oggi nella nostra cultura, specie nell’immaginario femminile.

Personalmente, apprezzo le intenzioni e considero in genere positivo ogni tentativo che viene fatto per rendere note problematiche scomode, a qualsiasi livello. Ho apprezzato meno, invece, sia il tono che le scarse argomentazioni contenute nella missiva. Mi è parso più una sorta di piagnisteo che una reale rivendicazione di un diritto, quale a mio avviso una comunicazione di questo tipo avrebbe potuto e dovuto rappresentare. Parlare unicamente del dolore, dell’emotività, di quanto noi donne saremmo brave ad “accompagnare” il prete nel suo ministero, francamente mi sembra limitativo e controproducente. Non parliamo poi del concetto di “porre le sofferenze ai piedi del papa”, che proprio mi fa orrore.

Il lavoro che da sette anni svolgo con le donne che mi contattano sul blog mira proprio ad aiutarle a liberarsi dalla cappa della religiosità, incominciando ad immaginare un prete meno sacro ed intoccabile, nonché un ruolo femminile meno legato al ricordo della perpetua, o a colei che deve avere pazienza ed aspettare che lui si renda disponibile ad un fugace incontro.


Le firmatarie della lettera hanno voluto mantenere il più stretto anonimato. Per quale ragione c'è ancora tanto timore ad uscire allo scoperto?

Le ragioni dell’anonimato sono diverse. Prima di tutto solitamente il prete non gradisce che lei si esponga, anche senza rivelare dettagli della storia. Il timore è principalmente quello del prete, e la donna in genere lo asseconda. In secondo luogo queste storie nascono come storie clandestine e il senso di segretezza è insito nel loro dna. Nei casi in cui una relazione diviene pubblica, le donne vengono spesso stigmatizzate dai parrocchiani, dagli amici, dai familiari, che sono generalmente molto “progressisti” solo se si parla di situazioni che riguardano persone sconosciute.

Infine, esiste a mio avviso l’assioma donna-tentazione che la dottrina cattolica ha instillato nelle menti dei credenti e non, e che stenta ad abbandonarci. Mi è capitato spesso di parlare con donne che hanno relazioni con i preti e sentirle affermare “le sue sacre mani mi hanno toccato”, oppure di confrontarmi con qualcuno che non fosse coinvolto nella problematica e che mi dicesse: “Sì d’accordo, ma lui è un prete, perché andate a dargli fastidio?”. Quindi può capitare anche che una donna provi vergogna per la sua condizione. Magari la prova senza ammetterlo.


Ritieni che sotto questo pontificato possa essere maturo il tempo per una riconsiderazione del celibato ecclesiastico e, ancor di più, della questione (che pare riguardi circa un terzo del clero) delle relazioni amorose che coinvolgono i preti?

Stando alla mia esperienza, una percentuale molto alta del clero ha intrattenuto o intrattiene relazioni amorose/sessuali con uomini o donne. O, per lo meno, ha attraversato il momento della crisi, dell’innamoramento che ha magari gestito, soffocato o sublimato, come comunemente si usa dire. Comunque ben più di un terzo. In ogni caso ritengo che sia ben difficile che un pontefice qualsiasi, anche l’attuale, possa riconsiderare la disciplina del celibato ecclesiastico tout-court. Se particolarmente illuminato – ma personalmente credo che possa accadere unicamente per problemi legati allo scarso numero dei chierici attualmente in esercizio – questo papa potrebbe valutare la possibilità di ordinare uomini sposati.

E non sarebbe la stessa cosa. Si arriverebbe ad una situazione simile a quella degli ortodossi che possono sposarsi prima dell’ordinazione, ma non successivamente, e i membri della gerarchia vengono scelti tra i celibi. Quindi ci sarebbero preti di serie a e di serie b. E guarda caso fanalino di coda sarebbero proprio gli sposati che “hanno ceduto alla tentazione e piuttosto che ardere …”.