Ritorno all’Ottocento
Barbara Spinelli
http://www.repubblica.it/esteri/2014/03/05/news/ritorno_all_ottocento-80237388/?ref=HREC1-2
5 marzo 2014
In parte per monotonia abitudinaria, in parte per insipienza e immobilità mentale, continuiamo a parlare dell’intrico ucraino come di un tragico ritorno della guerra fredda. Ritorno tragico ma segretamente euforizzante.
Perché la routine è sempre di conforto per chi ha poche idee e 
conoscenza. Le parole sono le stesse, e così i duelli e comportamenti: come se 
solo la strada di ieri spiegasse l’oggi, e fornisse soluzioni.
È una strada fuorviante tuttavia: non aiuta a capire, a agire. Cancella la 
realtà e la storia ucraina e di Crimea, coprendole con un manto di frasi fuori 
posto. È sbagliato dire che metà dell’Ucraina – quella insorta in piazza a Kiev 
– vuole “entrare in Europa”. Quale Europa? Nei tumulti hanno svolto un ruolo 
cruciale – non denunciato a Occidente – forze nazionaliste e neonaziste (un loro 
leader è nel nuovo governo: il vice Premier). Il mito di queste forze è Stepan 
Bandera, che nel ’39 collaborò con Hitler.
È sbagliato chiamare l’Est ucraino regioni secessioniste perché “abitate da 
filorussi “. Non sono filo- russi ma russi, semplicemente. In Crimea il 
60% della popolazione è russa, e il 77% usa il russo come lingua madre (solo il 
10% parla ucraino). È mistificante accomunare Nato e Europa: se tanti sognano 
l’Unione, solo una minoranza aspira alla Nato (una minaccia, per il 40%). 
Sbagliato è infine il lessico della guerra fredda applicato ai rapporti 
euro-americani con Mosca, accompagnato dalrefrain: è “nostra ” vittoria, 
se Mosca è sconfitta.
Dal presente dramma bellicoso si uscirà con altri linguaggi, altre dicotomie. 
Con una politica – non ancora tentata – che cessi di identificare i successi 
democratici con la disfatta della Russia. Che integri quest’ultima senza 
trattarla come immutabile Stato ostile: con una diplomazia intransigente su 
punti nodali ma che “rispetti l’onore e la dignità dei singoli Stati, Mosca 
compresa”, come scrive lo studioso russo-americano Andrej Tsygankov.
L’Ucraina è una regione più vitale per Mosca che per l’Occidente, e i suoi 
abitanti russi vanno rassicurati a ogni costo. È il solo modo per esser severi 
con Mosca e insieme rispettarla, coinvolgerla.
Siamo lontani dunque dalla guerra fredda. Che era complicata, ma aveva due 
elementi oggi assenti: una certa prevedibilità, garantita dalla dissuasione 
atomica; e la natura ideologica (oggi si usa l’orrendo aggettivo valoriale) di 
un conflitto tra Est sovietizzato e liberal-democrazie. Grazie allo spauracchio 
dell’Urss, Europa e Usa formavano un “occidente ” senza pecche, qualsiasi cosa 
facesse. L’Urss era nemico esistenziale: letteralmente, ci faceva 
esistere come blocco di idee oltre che di armi.
Questo schema è saltato, finita l’Urss, e l’Est è entrato nell’Unione. Mentre 
l’Urss crollava un alto dirigente sovietico, Georgij Arbatov, disse: “Vi faremo, 
a voi occidentali, la cosa peggiore che si possa fare a un avversario: vi 
toglieremo il nemico “. Non aveva torto, se ancora viviamo quel lutto come 
orfani riottosi. Ma non è più l’antagonismo ideologico a spingerci. La Russia 
aspira a riconquiste come la Nato e Washington. Fa guerre espansive in Cecenia 
mentre gli Usa, passivamente seguiti dall’Europa, fanno guerre illegali 
cominciando dall’Iraq e proseguendo con le uccisioni mirate tramite i droni. 
“Oggi la Russia di Putin e “l’Occidente” condividono un’identica visione basata 
sulla ricerca di profitto e di potere: in tutto tranne su un punto, e cioè a chi 
debbano andare profitto e potere”, scrive Marco D’Eramo su Pagina 99 (25-2-14).
Questo significa che non la guerra fredda torna, ma il vecchio equilibrio tra 
potenze (balance of power) che regnava in Europa fino al ’45: i Grandi 
Giochi dell’800, in Asia centrale o Balcani. Qui è la perversione odierna, 
obnubilata. Washington ha giocato per anni con l’idea di spostare la Nato a Est, 
fino ai confini russi. Più per mantenere in piedi l’ostilità del Cremlino che 
per aiutare davvero nazioni divenute indipendenti. L’Europa avrebbe potuto 
essere primo attore, perso il “nemico esistenziale”. Non lo è diventata. È un 
corpo con tante piccole teste, alcune delle quali (Germania per prima) curano 
propri interessi economico-strategici da soli. Lo scandalo è che nel continente 
c’è ancora una pax americana opposta alla russa. Una pax europea neppure è 
pensata.
Eppure una pax simile potrebbe esistere. L’unità europea fu inventata proprio in 
risposta all’equilibrio delle potenze, per una pace che non fosse una 
tregua ma un ordine nuovo. L’ombrello Usa ha protetto un pezzo del continente, 
consentendogli di edificare l’Unione, ma ha viziato gli europei, abituandoli 
all’indolenza passiva, all’inattività irresponsabile, al mutismo. Finite le 
guerre fratricide, l’Europa occidentale s’è occupata di economia, pensando che 
pace-guerra non fosse più di attualità. Lo è invece, atrocemente.
Priva di visioni su una pace attiva, l’Europa cade in errori successivi fin dai 
tempi dell’allargamento. Allargamento che non definì la pax europea: i 
paesi dell’Est si liberarono, senza apprendere la libertà. Il poeta russo 
Brodsky lo disse subito: “La verità è che un uomo liberato non diventa 
per questo un uomo libero. La liberazione è solo un mezzo per raggiungere 
la libertà, non è un sinonimo della libertà (…) Se vogliamo svolgere il ruolo di 
uomini liberi, dobbiamo esser capaci di accettare o almeno imitare il 
comportamento di una persona libera che conosce lo scacco: una persona libera 
che fallisce non getta la pietra su nessuno”. L’Est si liberò dalle alleanze con 
Mosca, ma quel che ritrovò, troppo spesso, fu il nazionalismo di prima.
Non a caso molti a Est si misero a difendere la sovranità degli Stati, senza 
esser contestati. E la “liberazione” criticata da Brodsky risvegliò ataviche 
passioni mono-etniche, intolleranti del diverso. Si aggravò lo status dei Rom: 
ridivenuti apolidi. Si riaccesero nazionalismi irredentisti, come nell’Ungheria 
di Orbán. Nata contro le degenerazioni nazionaliste, l’Europa ammutolì.
Kiev corre gli stessi rischi, proprio perché manca una pax europea che 
superi le sovranità statali assolute, e la loro fatale propensione bellicosa. Se 
tanti sono euro- fili ignorando la filosofia dell’Unione, è perché anche 
l’Unione l’ignora. Bussola resta l’America: lo Stato che meno d’ogni altro 
riconosce autorità sopra la propria. Oppure il nazionalismo russo. Tra Russia e 
Usa il rapporto è antagonistico, ma a parole. Nei fatti è un rapporto di rivalità 
mimetica, di somiglianza inconfessata.
L’Ucraina è una nazione dalle molte etnie, con una storia terribile. Storia di 
russificazioni forzate, che in Crimea risalgono al ’700: ma oggi i russi che 
sono lì vanno protetti. Storia di deportazioni in massa di tatari dalla Crimea, 
che pagarono la collaborazione col nazismo e tornarono negli anni ’90. Storia di 
una carestia orchestrata da Stalin, e di patti con Hitler su cui non è iniziata 
alcuna autocritica (il collaborazionista Bandera è un mito, per le destre 
estreme che hanno pesato nei recenti tumulti). Uno dei più nefasti fallimenti 
della rivoluzione a Kiev è stata la decisione di abolire la tutela della lingua 
russa a Est: cosa che ha attizzato paure e risentimenti antichissimi dei 
cittadini russi, timorosi di trasformarsi in paria inascoltati dal mondo.
Tutte queste etnie convivevano, quando in Europa c’erano gli imperi. Pogrom e 
Shoah son figli dei nazionalismi. Oggi regnano due potenze dal comportamento 
imperialista (Usa, Russia), che però non sono imperi multietnici ma nazioni- 
Stato distruttivi come in passato. Se l’Europa non trova in sé la vocazione di 
essere impero senza imperialismo, via d’uscita non c’è. Se non trova il 
coraggio di dire che mai considererà “filo- europei” neonazisti che si gloriano 
di un passato russofobo che combatté i liberatori dell’Urss, le guerre nel 
continente son destinate a ripetersi. Le tante chiese ucraine lo hanno capito 
meglio degli Stati.