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Teologia della donna o delle donne?

 

di Lilia Sebastiani

 

 Rocca” n. 18 del 15 settembre 2014

 

È passato più di un anno, ma ricordano in molti come il 31 luglio 2013, rientrando in Italia dalla XXVII GMG svoltasi a Rio de Janeiro e parlando in modo libero e spontaneo con i giornalisti che lo accompagnavano sull'aereo, papa Francesco ha parlato, tra molte altre cose, anche del ruolo delle donne nella chiesa (1). «Una Chiesa senza le donne è come il Collegio apostolico senza Maria. Il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, la mamma di famiglia, ma è più forte: è proprio l'icona della Vergine, della Madonna; quella che aiuta a crescere la Chiesa! Ma pensate che la Madonna è più importante degli Apostoli!... La Chiesa è femminile: è Chiesa, è sposa, è madre. Ma la donna, nella Chiesa, non solo deve... non so come si dice in italiano... il ruolo della donna nella Chiesa non solo deve finire come mamma, come lavoratrice, limitata ... No! È un'altra cosa! Nella Chiesa, si deve pensare alla donna in questa prospettiva: di scelte rischiose, ma come donne. Questo si deve esplicitare meglio.

Credo che noi non abbiamo fatto ancora una profonda teologia della donna, nella Chiesa. Soltanto può fare questo, può fare quello, adesso fa la chierichetta, adesso legge la Lettura, è la presidentessa della Caritas ... Ma, c'è di più! Bisogna fare una profonda teologia della donna. Questo è quello che penso io».

Quando la giornalista brasiliana Ana Ferreira, traendo (con logica femminile, appunto) ovvie conseguenze da così fervidi riconoscimenti e auspici, gli ha chiesto che cosa pensava 'anche' dell'ordinazione delle donne, la risposta è venuta fuori alata nelle intenzioni, ma dura nel nucleo: «Io vorrei spiegare un po' quello che ho detto sulla partecipazione delle donne nella Chiesa: non si può limitare al fatto che faccia la chierichetta o la presidentessa della Caritas, la catechista ... No! Deve essere di più, ma profondamente di più, anche misticamente di più, con questo che io ho detto della teologia della donna. E, con riferimento all'ordinazione delle donne, la Chiesa ha parlato e dice: 'No'. L'ha detto Giovanni Paolo II, ma con una formulazione definitiva. Quella è chiusa, quella porta, ma su questo voglio dirti una cosa. L'ho detto, ma lo ripeto. La Madonna, Maria, era più importante degli Apostoli, dei vescovi e dei diaconi e dei preti ...; come, è quello che dobbiamo cercare di esplicitare meglio, perché credo che manchi una esplicitazione teologica di questo».

 una questione mal posta

Molte donne, sia credenti e impegnate sia 'semicredenti' (spesso abbiamo constatato che queste ultime possono spesso trovarsi su posizioni inconsapevolmente più tradizionaliste nelle cose di chiesa: anche e soprattutto quando sia in gioco il ruolo delle donne) hanno recepito queste parole con vera esultanza. Invece altre - e altri, speriamo: guai se solo donne dovessero sentirsi coinvolte dalla riflessione sulle donne nella teologia e nella prassi ecclesiale! - hanno manifestato un profondo disagio. Non solo perché sulla questione dell'ordinazione delle donne, cruciale e assolutamente ineludibile e decisiva per il futuro prossimo della chiesa, il papa non ha fatto altro che riconfermare categoricamente, anche in prospettiva, la posizione di Giovanni Paolo II, quindi il 'no' senza sfumature e senza spiegazioni. Ancor più, forse, perché le parole sulla valorizzazione del ruolo e sulla 'teologia della donna' hanno evidenziato una grave incomprensione del problema e un sostanziale misconoscimento del dato di fondo - semplicissimo, e forse proprio per questo tanto difficile -: la piena umanità delle donne, da cui scaturisce l'esigenza di un'effettiva, 'visibile' piena parità: volta non a negare le differenze bensì ad avvalorarle e a consentirne lo sviluppo per la vita del mondo. Già mezzo secolo fa la teologa protestante France Quéré sosteneva nei suoi scritti che la donna, prima ancora che madre, sposa, lavoratrice, è una persona, in piena parità con l'uomo. E vero che papa Francesco, con perfetta sincerità e animato da una vera simpatia umana per le donne (come per ogni persona, tanto più se oppressa e discriminata), ha auspicato, in quella circostanza e in altre, che vengano trovate vie nuove per riconoscere, allargare, valorizzare l'azione e la vocazione femminile nella chiesa; ma la sua riflessione è impostata in modo viziato alla radice. Questo non sarebbe strano - è il modo tradizionalmente più diffuso tra gli uomini di chiesa, e purtroppo condiviso anche da non poche donne, che hanno interiorizzato un modo maschile di pensare e 'dire' se stesse -, ma la personalità di chi parla rischia ancora oggi di dare a queste parole e a questa impostazione un'eco amplificante e 'para-magisteriale', capace di bloccare la questione un po' più a lungo. Vorremmo rispondergli, con rispetto e anzi con vivo affetto ma decisamente, che l'equazione «donne vs gerarchia ecclesiastica = Maria vs apostoli»: mette sullo stesso piano elementi troppo diversi, irriducibili. Nell'essere madre, e madre del Messia, confluiscono una funzione naturale (che vale per le donne, anche se non per tutte) e un disegno misterioso di Dio (che vale esclusivamente per Maria); scegliere di essere discepoli/apostoli di Gesù, e ministri nella comunità cristiana, è un'altra cosa, è vocazione e scelta personale. Perché non ricordiamo che Gesù aveva anche discepole, una delle quali prediletta e più autorevole delle altre, apostola apostolorum? E che nella primissima Chiesa le donne lavorarono come gli uomini alla diffusione dell'Evangelo?

 

donne oggetto o soggetto di teologia?

La vera 'teologia delle donne' è teologia elaborata da donne che parlano di Dio, di Scritture sacre, di liturgia, di pastorale, di linguaggio religioso ...; non teologia elaborata da uomini che parlano delle donne!

Sia cattolica sia protestante, anzi fin dal primo momento spontaneamente ecumenica, questa teologia si sviluppa all'inizio nel mondo anglosassone tra gli anni Sessanta e Settanta (anche se aveva avuto i suoi prodromi alla fine dell'Ottocento, in ambito protestante nordamericano, con Elizabeth Cady Stanton e il gruppo della Woman's Bible). Di solito viene indicata come teologia femminista, per chiarezza; e oggi sarebbe meglio parlare di 'teologie femministe' al plurale, poiché esistono diverse correnti e diversi indirizzi.

Sappiamo che il sostantivo 'femminismo' e l'aggettivo 'femminista', dopo tanti anni, non sono ancora entrati in chiave positiva nel linguaggio ecclesiastico corrente (2), meno ancora se riferiti alla teologia. Tuttavia parlare di teologia 'femminista', con buona pace di coloro che ancora vi fiutano separatismo, contrapposizione e minaccia, è indispensabile: perché le parole servono per comunicare, possibilmente con chiarezza e senza equivoci, e altre espressioni non esprimerebbero la stessa realtà.

Teologia femminile (correttivo che piacerebbe a qualche uomo di chiesa), non esiste proprio, non significa nulla: 'femminile' è tutto quanto proviene da donne o a donne si riferisce, ed è evidente che non basta essere di sesso femminile per essere portatrici di una visione alternativa della storia, della chiesa, della persona umana.

E la teologia della donna? Storicamente esiste, eccome; ed è più vecchia della teologia femminista (di una decina d'anni almeno). Ma non le somiglia affatto. Anzi, si colloca agli antipodi, o quasi: nell'oggetto, nei soggetti della ricerca, nel metodo, nel linguaggio, negli intenti, nello spirito.

 

la «teologia della donna»

Sì, qui le virgolette sono proprio d'obbligo. Intorno agli anni Cinquanta del secolo XX, anche per reazione alla neoscolastica dominante nella teologia ufficiale del tempo e alla sua dogmatica astrattezza, si affermarono le cosiddette 'teologie del genitivo': teologia del lavoro, del laicato, delle realtà terrestri..., in cui, chiaramente, il genitivo indica l'ambito su cui si esercita la riflessione teologica: e confluirono nel vasto ambito della nouvelle thélogie, che sarebbe stata poi così importante per preparare e indirizzare la grande svolta del Concilio. Tra le teologie del genitivo apparve anche, stimolata dalla recente proclamazione del dogma dell'Assunzione di Maria (1950) e dall'anno mariano 1954, centenario del dogma dell'Immacolata Concezione, una «teologia della donna». Questa però non infl sul Concilio -si vorrebbe dire: per fortuna -, anche se il Concilio comunque non portò novità folgoranti, né dottrinali né pratiche, per quanto riguardava il ruolo delle donne nella chiesa.

La proposta di un esquisse della teologia della donna venne da un numero speciale della rivista L'Anneau d'Or dell'agosto 1954 (3). Nell'insieme, la teologia della donna produsse più articoli che libri. Due in particolare furono importanti: quello del gesuita Henri Rondet, Èlements pour une teologie de la femme (4), e quello di A.M. Henry, Pour une théologie de la féminité (5). A questa produzione si potrebbe accostare, solo per qualche aspetto, l'opera del grande filosofo e teologo ortodosso Pavel Nikolaevic Evdokimov (1901-1970), nato in Russia ma vissuto prevalentemente in Francia, il quale ha sulla donna pagine bellissime e suggestive, non esenti però dall'insidia dell'eterno femminino (specialmente in La femme et la salut du monde), quantunque nobilitate da un autentico afflato mistico. La teologia femminista fin dai suoi inizi esprime un giudizio severo sulla teologia della donna, perlomeno in quanto assolutamente unilaterale e androcentrica. Chi mai avrebbe pensato a elaborare simmetricamente una teologia dell'uomo-maschio o della maschilità? Parlando di teologia della donna si prolunga l'equivoco secondo cui essere donna è un fatto accidentale e collaterale, mentre essere maschio è la norma, talmente 'normale' che non occorre parlarne. Il maschile può rimanere invisibile perché è onnipresente: non solo come 'tema', ma soprattutto nelle strutture mentali sottese alla riflessione teologica. La teologia senza aggettivi, la teologia che si studiava (e ancora si studia) nei seminari e nelle facoltà pontificie, è una teologia pensata e declinata al maschile, assume in modo irriflesso il maschile come paradigma dell'umano. La teologia della donna era condizionata dall'ipoteca mariana, per cui Maria risultava modello privilegiato per le donne (e Ge un po' più modello per gli uomini, solo per la sua maschilità biologica); era elaborata da teologi tutti di sesso maschile, e chierici per di più, quindi celibi e portatori per obbligo di stato di un atteggiamento a riguardo delle donne poco libero e poco sereno. Inoltre recepiva, senza metterli in discussione, schemi di pensiero patriarcali e superati e sottintendeva una visione autoritaria e immobilista delle strutture sociali e, ovviamente, del ruolo delle donne.

 

Come abbiamo detto in altre occasioni, la Donna ha poco a che fare con le donne vere e storiche; anzi aiuta a disincarnarle, a destoricizzarle, a esorcizzarne l'insidia... Eppure, per dovere di giustizia, dobbiamo riconoscere che quella produzione teologica ebbe pure qualche merito: in sostanza aiutò a prendere le distanze dalla misoginia ecclesiastica tradizionale (o dal suo linguaggio almeno), e ad affermare in qualche modo, nonostante le intime contraddizioni, che donna e spiritualità non erano proprio incompatibili.

Non si potrebbe esprimere in breve la differenza tra la teologia femminista degli ultimi cinquant'anni e la preconciliare teologia della donna meglio che con queste parole della teologa Nelle Morton, che risalgono a una quarantina d'anni fa ma potrebbero essere scritte e sottoscritte oggi: «... Se la teologia della donna era una ridente aiuola di orchidee, che ben educati teologi celibi coltivavano a loro diletto nel bosco delle discipline teologiche, la teologia femminista è la teologia di donne e cristiane che osano il `viaggio verso la libertà'; essa non vuole essere unilaterale, bensì reagire con efficacia alla unilateralità della dominante teologia e pratica ecclesiale e si presenta come un contributo alla 'dimensione incompiuta della teologia', in vista di un'autentica teologia dell'integralità (whole theology)» (6).

 

poiché bisogna concludere...

Chiediamo a papa Francesco di trascendere i limiti umani della sua formazione e le sospettose opposizioni che lo circondano, di parlare anche delle/alle donne in modo nuovo, di ascoltare la riflessione teologica delle donne e aiutare il vero rinnovamento della teologia: che sia nuova, liberante secondo lo stile dell'evangelo e l'esempio di Gesù, liberante per donne e uomini, elaborata insieme da donne e uomini; una teologia integrale, dialogica, capace di ascolto, volta a trasformare l'esistente, anche sociale e politico, secondo il progetto di Dio: in modo integralmente laicale e per questo (non 'nonostante' questo) integralmente fedele alla logica del Regno.

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Note

 

(1) Non sono riuscita a ritrovare nel sito wwwvatican.va, che contiene tutti i discorsi papali (comprese le allocuzioni più brevi, le omelie, ecc.), il testo preciso di queste risposte del 31.7.2013, del resto occasionali; ma solo commenti in certi casi sistematici e di tono ufficialissimo, come quelli di p. Lombardi. Perciò i miei riferimenti e le citazioni, dipendendo solo da fonti giornalistiche, non si possono considerare del tutto sicuri. Sottolineo questo non solo e non tanto per scusarmi in anticipo di eventuali inesattezze nel testo, ma perché sospetterei che la strana omissione sia dovuta a una precisa volontà curiale di non

acquisire stabilmente come magistero di papa Francesco risposte che sono state interpretate in certi casi, a torto o a ragione,

come troppo aperte e `possibiliste' (non certo quelle sulle donne, fin troppo tradizionali se si esclude la gradevole spontaneità

dello stile, ma quelle sugli omosessuali e sui divorziati risposati). Oppure, come mi è stato suggerito con notevole ottimismo

da un amico prete e teologo, si può sperare che ciò sia avvenuto per la ragione opposta: cioè proprio allo scopo di non

far apparire chiusa in modo irreformabile la questione dell'accesso delle donne al ministero.

(2) Sembrano però tranquillamente accettati da decenni, in studi di carattere più specialistico: nell'ampio volume di

Rosino Gibellini, La teologia del XX secolo (Queriniana, Brescia 1992), si trova un capitolo intitolato «Teologia femminista» (pp.

447480); e in un altro lavoro, di AA.VV., ma curato sempre da R. Gibellini, Prospettive teologiche per il XXI secolo

(Queriniana, Brescia 2003), il contributo di Elizabeth Green, pp. 169-182, reca il titolo Al crocicchio delle strade: teologia

femminista all'inizio del XXI secolo. La voce Teologia femminista, curata da Marie-Therese Wacker, compare — quantunque

limitata a pochissime pagine — nell'Enciclopedia Teologica a cura di Peter Eicher (edizione italiana a cura di Gianni

Francesconi, Queriniana, Brescia 1989, 1029-1034). In Italia la Queriniana appare indiscutibilmente, tra le case editrici

cattoliche, la più impegnata su questo fronte.

(3) L'Anneau d'Or, , n. 57-58 (août 1954).

(4) Nouvelle Révue théologique 89 (1957), 915-940.

(5) Lumière et Vie 7 (1959) n. 43, 100-128. (Numero monografico sul tema Conception chrétienne de la femme).

(6) Nelle Morton, Toward a Whole Theology in The Journey is Home, Beacon Press, Boston 1985, 62-85; ricordata da Gibellini,

La teologia del XX secolo, 451. L'espressione «dimensione incompiuta della teologia» rinvia a Letty M. Russel, Teologia

femminista, Queriniana, Brescia 1977, 58.