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Vinceremo noi


 di Susan George

 

Adista Documenti n° 17 del 10/5/2014

 

Sono venuta a darvi molte cattive notizie, ma comincerò con una buona: vinceremo questa lotta. Per riuscirci dobbiamo utilizzare una strategia anti-vampiro: portare alla luce quello che si sta negoziando, per scongiurarne la realizzazione.

Il TTIP (Transatlantic Trade and Investment and Partnership, Accordo Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti) avrebbe conseguenze drammatiche per i lavoratori e per le lavoratrici, per qualunque persona che si ammali, per quanti si preoccupano della qualità dell’alimentazione, per chi si allarma dinanzi al fracking... Se rendiamo coscienti tutte queste persone riguardo a ciò che si sta negoziando, uccideremo il vampiro.

E occhio! Questo non è un mero accordo sul commercio, ma è la ciliegina sulla torta di una strategia che le imprese transnazionali stanno portando avanti da molto tempo. Credono di avere ormai la vittoria in tasca, ma siamo noi che vinceremo.

L’ORIGINE DEL TTIP

Alla fine della II Guerra Mondiale si crea il GATT (Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio), un tavolo negoziale tra Paesi colonizzatori mirato a ridurre le tariffe doganali dei prodotti industriali e ad avanzare nella liberalizzazione del commercio. Le imprese transnazionali non prendevano parte a questi negoziati, finché qualcuno, negli anni ’80, non decise il contrario.
 

Da questo primo round negoziale nasce nel 1994 la OMC (o WTO, Organizzazione Mondiale del Commercio) al fine di estendere la liberalizzazione a più ambiti. Le imprese transnazionali accolgono con grande entusiasmo la nascita di questa organizzazione, per poi rendersi conto che non avrebbe dato i frutti sperati: troppo complicata la rete di consensi richiesta per far avanzare il progetto.

Per superare la situazione di stallo, le transnazionali promuovono allora accordi bilaterali e multilaterali. Per quanto si tratti di accordi relativi ad ambiti geografici più limitati, tale strategia si rivela vincente, giacché, oltre alla firma di più di 3mila accordi, si riesce ad includere nei trattati di libero commercio anche il tema degli investimenti.

Gli Stati Uniti, per esempio, dicono all’Ecuador, al Perù o ad altri piccoli Paesi: se non mettete in atto queste politiche di aggiustamento, non investiremo più nel vostro Paese. Queste minacce, accompagnate dalla paura dell’isolamento, hanno spinto molti Paesi piccoli a firmare accordi con gli Stati Uniti, procedendo nella liberalizzazione del commercio. In questo modo, le transnazionali sono riuscite a superare l’immobilismo della OMC.

L’avvio del TTIP si può collocare nel 1995, quando le imprese transnazionali di Europa e Stati Uniti, la Camera di Commercio statunitense e il Commissario Europeo per il Commercio danno avvio al Transatlantic Business Dialogue (Negoziato per il Commercio Transatlantico), promosso allo scopo di stabilire una relazione diretta e fluida con i governanti. A tale negoziato partecipavano più di 70 dirigenti di transnazionali di differenti settori, con la parola d’ordine: “Accordato tra noi, accettato da tutti”. “Queste cose le capiamo solo noi, voi statevene zitti”, è quello che pensano questi imprenditori, i quali, per centrare i loro obiettivi, operano come una grande lobby. In tal modo, i dirigenti delle multinazionali ottengono tutto quello che vogliono, per esempio dalla Commissione Europea. Il documento sulla competitività europea, da loro redatto, è stato approvato dalla Commissione e convertito in legge. Lo stesso avviene all’altro lato dell’Atlantico. Perché ne abbiate un’idea, la Camera di Commercio degli Stati Uniti spende 136 milioni di dollari per il lavoro di lobby.

Ci dicono che l’obiettivo è accelerare l’integrazione tra Europa e Stati Uniti. Ma chi ha detto che noi europei vogliamo integrarci con gli Usa? Qualcuno ha votato al riguardo? No. Qualcuno del consiglio creato dalle transnazionali ha deciso che bisogna eliminare le regolamentazioni per ottenere l’armonizzazione tra i due territori, in un processo senza fine. Si tratta di un pericolo straordinario per la democrazia.


COS’È IL TTIP?

Il TTIP mira ad integrare gli standard di sicurezza rispetto agli alimenti, ai farmaci, ai transgenici e al fracking, le proposte di stabilità finanziaria, la liberalizzazione dei capitali per gli investimenti, le privatizzazioni, le modalità per bloccare nuove imposte (per esempio, quella che vogliamo introdurre per le transazioni finanziarie) e per ostacolare possibili miglioramenti nella legislazione sul lavoro, i sistemi per smantellare la contrattazione collettiva, le misure per frenare proposte che promuovano la sicurezza climatica...

Questo è ciò che sappiamo, in quanto nessuno conosce il contenuto concreto dei negoziati, neppure i nostri legislatori. Il tavolo negoziale si riunisce ogni tot mesi e i nostri governanti non sanno di cosa si sta parlando. È un chiaro attacco alla democrazia. Tenete presente che questo accordo riguarda 800 milioni di consumatori, la metà del Pil mondiale e il 45% del commercio mondiale... È una barbarie. Quello che vogliono è controllare il commercio per favorire gli interessi delle grandi imprese, cioè fare in modo che i mercati governino il mondo. E, allo stesso tempo, è un modo di fare pressioni sulla Cina affinché le sue politiche seguano la stessa direzione. 

Ci dicono che i Paesi membri dell’Unione Europea hanno sottoscritto i principi del TTIP, ma la domanda è: chi li ha redatti? Non c’è risposta: non esiste la lista dei redattori. Tuttavia, ci parlano della bontà del trattato. Un gruppo di ricercatori calcola in 120 miliardi di euro all’anno (circa 505 euro all’anno per ogni famiglia europea) i benefici che produrrebbe l’accordo grazie al conseguente calo dei prezzi. Ovviamente, gli autori del rapporto fanno parte di un think tank finanziato dalle banche, per quanto siano sinceri quando affermano che questa è l’ipotesi più ottimistica e che tali risultati si otterranno solo intorno al 2027.

È così che ci presentano il trattato, ma il vantaggio che abbiamo è quello di conoscere i risultati prodotti da analoghi accordi firmati precedentemente. All’inizio, avevano cominciato a chiamare l’accordo TAFTA, ma hanno ben presto cambiato idea perché ricordava troppo il NAFTA (l’Accordo di Libero Commercio del Nordamerica), di cui la gente non ha certo un buon ricordo, considerando che, tra altre cose, ha avuto come conseguenza, in Messico, la rovina di 2 milioni di contadini e contadine e di 28mila piccole imprese, a causa dell’impossibilità di competere con le aziende statunitensi. E si calcola che, allo stesso tempo, negli Stati Uniti siano andati perduti in seguito a tale accordo 682.900 posti di lavoro.

Un altro accordo simile è quello tra Corea e Stati Uniti. Obama aveva detto che questo trattato avrebbe incrementato le esportazioni per un valore di 10 miliardi di dollari, e ha invece comportato una riduzione di 3,5 miliardi. Aveva detto che si sarebbero creati 70mila nuovi posti di lavoro e se ne sono invece persi 40mila. L’unico risultato che si ottiene con questi trattati è quello di concentrare ancora di più il potere nelle mani delle imprese transnazionali.

Ma questo non è tutto. Quello che la gente teme di più del TTIP è la creazione dell’ISDS (Tribunale arbitrale per le controversie tra Stati e imprenditori privati): un tribunale privato che offre agli investitori la possibilità di pretendere un risarcimento per ogni cambiamento legislativo introdotto da un governo che comporti a loro dire una diminuzione dei loro profitti (presenti o futuri).

In primo luogo, i costi di tali processi sono enormi (8 milioni di euro in media) e a questi bisogna aggiungere gli indennizzi che lo Stato dovrà versare alle transnazionali una volta emessa la sentenza (l’Ecuador ha dovuto pagare 1,1 miliardi di dollari all’Occidental Petrolium a causa del divieto stabilito dal governo di estrarre petrolio in un’area protetta; una centrale nucleare svedese ha fatto causa alla Germania esigendo 4,2 miliardi di dollari nel caso venga costretta a fermare la produzione). Inoltre, l’ISDS opera in un’unica direzione, in quanto è l’investitore a poter far causa allo Stato e non viceversa. Si proteggono le transnazionali, non i cittadini e le cittadine.

Si dice che attualmente nel mondo siano in corso 560 processi di questo tipo, ma sicuramente ve ne sono di più. Neppure sappiamo quali siano i risarcimenti richiesti, giacché si tratta solitamente di informazioni riservate. In ogni caso, quello che emerge in maniera chiara è che questi processi limitano fortemente la possibilità di regolamentazione: dal momento che uno Stato si vede obbligato a pagare simili cifre, ci penserà dieci volte prima di tornare a promulgare una nuova legge di regolamentazione.

PROTEZIONE PER LE INDUSTRIE, RISCHI PER LE PERSONE

La normativa che il TTIP dovrebbe armonizzare è assai diversa negli Stati Uniti e in Europa. Negli Stati Uniti esiste una regolamentazione minima per i servizi e i prodotti. Tutto è commerciabile finché il danno non sia dimostrato scientificamente. La responsabilità non ricade sull’impresa produttrice, ma sulla persona che consuma. È il consumatore che deve attestare il pericolo legato a quel prodotto o quel servizio, in maniera che se ne proibisca la vendita sul mercato.

In Europa è esattamente il contrario. È il produttore che deve dimostrare che il prodotto o il servizio non ha effetti nocivi per poterlo commercializzare. Se esiste qualche sospetto, la vendita non è possibile. Per questo motivo, molti prodotti chimici autorizzati negli Stati Uniti non si possono commercializzare in Europa, e i transgenici che si utilizzano senza restrizioni negli Stati Uniti sono invece limitati in Europa... Se verrà firmato, inoltre, il trattato non solo metterà a rischio la nostra salute, ma provocherà anche la rovina dei piccoli agricoltori europei, i quali non saranno in grado di competere con un’agricoltura industriale super-sovvenzionata come quella statunitense.

Il caso del fracking è illuminante. Nella fratturazione idraulica, come è noto, si immettono nel sottosuolo, per estrarre il gas, molteplici prodotti chimici, i quali possono contaminare le falde acquifere. Che ha fatto Bush? Ha escluso le compagnie che si dedicavano al fracking dalla normativa tesa a garantire la qualità dell’acqua potabile, cioè ha consentito alle compagnie l’utilizzo di qualunque prodotto chimico, per quanto contaminante. In caso di contaminazione delle sorgenti, dovranno essere le persone danneggiate a dimostrarne scientificamente il nesso con il fracking. Vale a dire che Bush ha aumentato la protezione per l’industria, esponendo a maggiori pericoli le persone. E questo è motivo di grande preoccupazione per la gente.

Con questo trattato, la Commissione Europea e le transnazionali intendono eliminare le normative a protezione dei diritti delle persone, ma i cittadini non vogliono. Le organizzazioni sociali e i sindacati hanno iniziato a mobilitarsi e la Commissione Europea si è resa conto che incontrerà resistenze.

Due anni fa, mi sono imbattuta per caso in un rapporto tecnico, Regulatory Cooperation, delle due lobby più potenti su entrambi i lati dell’Atlantico (Business Europe e US Chamber of Commerce), in cui si riportavano dettagliatamente i passi da muovere e le misure da adottare per l’armonizzazione tra Stati Uniti ed Europa. Con il trascorrere del tempo, sembrava che questo piano fosse stato accantonato, ma, a causa dell’attuale contestazione contro il TTIP, si inizia di nuovo a parlarne. E cosa dice? «Costituiremo un Consiglio di cooperazione per la regolamentazione tra Unione Europea e Stati Uniti, per ora indipendente dal TTIP, con l’intenzione di elaborare una regolamentazione coerente attraverso gruppi di lavoro che si relazioneranno con i legislatori».

A mio giudizio, ciò vuol dire che, nel caso non si possa introdurre il TTIP nella sua totalità, un consiglio di questo tipo potrà adottare misure poco per volta, senza tener conto della cittadinanza e dei legislatori, lasciando ben chiaro che esso si manterrà attivo in maniera permanente, per realizzare modifiche ininterrottamente, mentre l’Unione Europea continuerà a elogiare i benefici del trattato. Immagino che bisognerà accompagnare da vicino gli avvenimenti. 

Per finire, se cediamo alla pressione delle imprese, consegnando ai privati il nostro potere giudiziario (una parte importante della democrazia), dovremo farci molte domande sulla Commissione Europea. Credono che tutto questo sia un bene o non osano opporsi agli Stati Uniti? I funzionari dei governi che hanno firmato questo accordo ignorano le conseguenze? Sono stupidi o rappresentano forze antidemocratiche a cui non importa niente di tutto ciò?

Questo accordo è un assalto alla democrazia, alla lavoratrice, all’ambiente, alla salute e al benessere della cittadinanza. L’unica risposta possibile dinanzi a questo attacco è alzarsi dal tavolo, chiudere la porta e lasciare la sedia vuota.