Padre Pio e la religione del selfie
Di Antonio Vigilante*
Fonte: http://www.glistatigenerali.com/
per approfondire: http://www.cdbchieri.it/rassegna_stampa/temi_santi.htm
Una teca di vetro. Nella teca il cadavere di un monaco 
cappuccino, con il volto di cera. Sulla teca molti fiori. Davanti alla teca una 
donna scatta una foto con il cellulare: un selfie, per la precisione.
Il monaco è, naturalmente, padre Pio, anzi San Pio. Il contesto è quello del 
Giubileo Straordinario della Misericordia, proclamato da papa Francesco II con 
la bolla Misericordiae Vultus, "come tempo favorevole per la Chiesa, perché 
renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti".
La religione comprende una molteplicità di cose, spesso contraddittorie, che è 
possibile ordinare in uno spettro che va dal bisogno al desiderio. Il bisogno è 
mancanza, il desiderio è slancio. Bisogno è mangiare, bere, vestire, avere un 
tetto. Bisogno è avere un lavoro, riconoscimento sociale, sicurezza. Il 
desiderio è altro. Per dirla con il Lévinas di Totalità e Infinito: "Al di fuori 
della fame che può essere soddisfatta, della sete che può essere estinta e dei 
sensi che possono essere appagati, la metafisica desidera l'Altro al di là delle 
soddisfazioni, senza che il corpo possa inventarsi un gesto per diminuire la 
aspirazione, senza che sia possibile abbozzare una qualche carezza conosciuta o 
inventarne una nuova". Questo altro del desiderio può assumere forme diverse. 
Nella mistica, che considero il momento più alto e puro del fenomeno religioso 
(e che – ma il discorso sarebbe lungo – non implica alcuna fede in Dio), l'altro 
è l'altro dell'io: la religione è il movimento che spinge l'io oltre sé stesso, 
in uno slancio che è al tempo stesso terribile e gioioso. Ma l'altro può essere 
anche l'io dell'altro, e la religione essere amore puro, appassionato, esigente 
dell'altro, apertura intensa al tu, etica rigorosa. E da questa apertura, che 
rifiuta la riduzione dell'altro a cosa, nasce l'esigenza di un mondo altro, di 
una realtà liberata dalla sofferenza, dallo sfruttamento, dall'ingiustizia. 
Un'etica che si fa al tempo stesso politica ed escatologia.
Il cattolicesimo di Padre Pio è il cattolicesimo del bisogno. Il cattolicesimo 
dell'uomo e della donna che, di fronte alle difficoltà della vita, avvertono la 
necessità – facile, semplice – di una figura divina di riferimento, che offra 
una protezione pronta e sicura. Larga parte del mondo cattolico trae alimento da 
questo bisogno di rassicurazione. Esiste, nel cattolicesimo, una vera e propria 
industria della rassicurazione, fatta di polverine di Santa Rita, acque di 
Lourdes, coroncine benedette, eccetera. Si tratta di un fenomeno che 
naturalmente confina con la superstizione e con la magia, e che il padrepiismo 
(o sanpiismo) rappresenta alla perfezione. Il mondo nel quale nasce e si afferma 
la figura di Padre Pio è un mondo rurale estremamente arretrato, quel mondo 
contadino pugliese nel quale la figura del santone era ordinaria non meno di 
quella del parroco, ma al tempo stesso è una figura che sa inserirsi nel mondo e 
nelle sue logiche anche politiche ed economiche con straordinaria scaltrezza. Chi 
era, davvero, padre Pio? 
Scelgo solo tre episodi da Padre Pio. Miracoli e politica 
nell'Italia del Novecento di Sergio Luzzatto (Einaudi). Primo. 1911-1913. 
Dopo essere stato ordinato sacerdote, il giovane fra' Pio passa quasi tutto il 
tempo nella sua casa di Pietrelcina, perché malanni non meglio precisati gli 
rendono impossibile la vita in convento. E da casa sua scrive lettere ai suoi 
direttori spirituali, fra' Benedetto e padre Agostino, entrambi di San Marco in 
Lamis. Lettere nelle quali descrive con trasporto il suo travaglio spirituale, 
le sue estasi, il suo rapporto personale con Cristo. Ma le lettere sono copiate, 
per la precisione riprese parola per parola dell'epistolario di Gemma Galgani, 
una donna di Lucca che aveva ricevuto le stimmate nel 1899, e il cui libro era 
tra le letture del giovane frate. Due. 15 
agosto 1920. San Giovanni Rotondo. Un'automobile esce dal convento dei 
cappuccini per giungere nella piazza principale del paese. A bordo padre Pio, 
acclamato dalla folla. Giunto in piazza, il frate benedice la bandiera dei 
reduci, che nella zona hanno organizzato le prime squadre fasciste. Due mesi 
dopo, in quella stessa piazza, undici contadini socialisti saranno massacrati 
dai soldati. All'indomani dell'eccidio, il frate accoglierà con grande 
cordialità nel suo convento Giuseppe Caradonna, figura di primo piano del 
nascente fascismo in Capitanata. Tre. 1921. 
Il Santo Uffizio manda a San Giovanni Rotondo monsignor Raffaele Carlo Rossi, 
per interrogare il frate. Tra le altre cose, monsignor Rossi gli chiede conto di 
una certa sostanza da lui ordinata in gran segreto in una farmacia locale, che 
poteva servire a procurare le stimmate. Il frate si difende sostenendo che 
intendeva usarla per fare uno scherzo ai confratelli, mischiandola al tabacco in 
modo da farli starnutire.
Il profilo che emerge è quello di un fascista un po' imbroglione, privo di 
qualsiasi spessore umano e culturale, che, a voler essere buoni e prendere per 
vera la sua deposizione, acquista sostanze pericolose per fare uno scherzo da 
prete ai suoi confratelli mentre si fa fotografare in pose mistiche con le 
stimmate in bella evidenza.
Qualche anno fa sulla facciata della chiesa di San Pietro al Cep, a Foggia, 
comparve una macchia di umidità. Le macchie di umidità, come le nuvole e le 
venature del marmo o del legno, hanno questa caratteristica: con un po' di 
fantasia vi si può scorgere quello che si vuole. Soprattutto la figura tozza di 
un padre cappuccino. E dunque si gridò al miracolo, come succede. E come succede 
talmente spesso, anzi, che non varrebbe nemmeno la pena di citare la faccenda, 
se non fosse che in quel caso dopo qualche giorno partirono già i primi autobus 
di fedeli, primi segni di un promettente business o, se si preferisce, di una 
esaltante esperienza di fede. Per fortuna quelle macchie di umidità ebbero il 
buon senso di scomparire al cambiare del tempo.
La figura di padre Pio, anzi di San Pio, è una calamita che in modo 
irresistibile attira il peggio del cattolicesimo: la superstizione, il 
fanatismo, il miracolismo, l'esteriorità dei riti, la rinuncia al pensiero. E 
l'affarismo, la furbizia, l'abuso della credulità popolare. Se non vi fosse 
quest'ultimo aspetto – ma è mai separabile dal resto? – si potrebbe provare 
qualche indulgenza e vedere in una simile ridicola accozzaglia di assurdità e 
cattivo gusto una risposta al bisogno umanissimo di protezione. Il padrepiismo è 
una delle malattie del cattolicesimo. Una malattia che, se la Chiesa avesse buon 
senso, cercherebbe di contrastare, e che invece alimenta, incoraggia, esalta, 
inseguendo un facile consenso e successo presso masse sempre più distratte, 
sempre meno religiose. Resasi conto della difficoltà di una evangelizzazione, la 
Chiesa sembra perseguire l'obiettivo più abbordabile della padrepiizzazione 
delle masse.
"Il cattolicesimo deve alla sua antichità e alla sua avversione per ogni 
violenta formazione di massa, la quiete e l'estensione che esercitano una 
fortissima attrazione su molti", scriveva Elias Canetti in Massa e potere 
(1960). Queste parole, valide quando furono scritte, non sono più vere dopo il 
pontificato di Giovanni Paolo II, il papa dei raduni oceanici, che prima di 
allora si erano visti soltanto nei regimi totalitari. E non è un caso che sia 
stato lui a volere fortemente la santificazione di padre Pio. Il santo di 
Pietrelcina è la figura-chiave per il passaggio del cattolicesimo dal mondo 
pre-moderno della società contadina al mondo post-moderno della massa anonima. 
Espressione architettonica di questo passaggio è il nuovo santuario di San 
Giovanni Rotondo progettato da Renzo Piano: un non-luogo nel quale è impossibile 
qualsiasi esperienza che non sia, appunto, quella della immersione in una massa 
anonima.
Con il Vaticano II, la Chiesa aveva fatto un tentativo generoso di confronto con 
la modernità (ed è appena il caso di ricordare l'insofferenza di Giovanni XXIII 
verso padre Pio). Con Giovanni Paolo II, archiviato il Concilio, la Chiesa si è 
lanciata nella post-modernità. Tutta o quasi la cultura moderna viene rigettata 
come relativismo, si condanna la teologia della speranza, si instaura il culto 
della persona del papa e si esalta la santità di un frate che politicamente 
offre molte certezze: nessuno troverà mai, nei suoi scritti o nella sua 
biografia, il minimo appiglio per una interpretazione del cattolicesimo che 
minacci il buon ordine sociale.
Torniamo all'immagine da cui siamo partiti. Il selfie è l'espressione 
dell'attuale narcisismo di massa. In primo piano ci sono io, sullo sfondo tutto 
il resto: santo compreso. La società dei consumi, che è una società di massa, si 
regge al tempo stesso sul narcisismo più sfrenato. E' una società che dice io, 
ed è un dire io sempre più disperato, perché l'io è puntellato dal possesso di 
cose, più che dalla sostanza viva delle relazioni sociali e spirituali. Un io 
solo, che più dice io più si smarrisce nella massa, più acquista più perde. In 
questo contesto economico e culturale, anche la fede – la fede cattolica – 
diventa narcisismo. "Dio ti ama, ti ama talmente tanto che è morto per te": 
questo è il messaggio attraverso il quale le parrocchie vendono oggi il 
prodotto-Dio. Superate le inquietudini del passato, la fede è oggi una cosa 
semplice: in definitiva una questione di gratitudine. Dio ti ama ed è morto per 
te, e tu gli giri le spalle? Un gesto insensato, come spegnere la televisione o 
rifiutare l'offerta prendi tre e paghi due. Padre Pio, alter Christus, è il 
protagonista di questo cattolicesimo facile, consumistico, narcisistico. Di 
questo cattolicesimo disperato.
Lo scorso anno è scomparso, in silenzio ed umiltà come è sempre vissuto, Arturo 
Paoli, per tutti fratel Arturo. Nei suoi più di cento anni di vita questo uomo 
straordinario ha fatto la resistenza, ha salvato la vita di molti ebrei durante 
il fascismo (per questo è stato dichiarato Giusto delle nazioni) e poi, ordinato 
sacerdote, ha passato tutta la vita accanto ai poveri ed ai lavoratori, non 
retoricamente, ma faticando e lottando con loro: al porto di Orano, nelle 
miniere della Sardegna, nei boschi dell'Argentina. Non aveva le stimmate, non 
faceva miracoli. Metteva semplicemente in pratica il Vangelo. E' lui il 
rappresentante più autentico e profondo, nel cattolicesimo italiano dell'ultimo 
secolo, di quella che ho chiamato religione del desiderio. Il suo è un 
cattolicesimo purissimo, al tempo stesso semplice e raffinato, capace di 
dialogare con gli umili senza corromperli con il fanatismo e la superstizione, 
che non stringe la mano ai fascisti ma attacca il potere esigendo giustizia. Ha 
indicato un'altra via, la via del desiderio. Una via che è, oggi, un sentiero 
non segnato sulla mappa, lungo il quale è sempre più raro che qualcuno si 
avventuri 
Nato a Foggia nel 1971, vivo a Siena, dove insegno filosofia e scienze umane al Liceo "Piccolomini". Mi occupo di teoria della nonviolenza, pedagogia, filosofia morale ed interculturale. Sono abilitato all'insegnamento universitario della filosofia morale. Nel 2011 ho fondato la rivista Educazione Democratica(http://www.educazionedemocrati ca.org), di cui sono direttore scientifico. Il mio ultimo libro è L'educazione [...] (Edizioni del Rosone, Foggia 2014). Il mio blog è Spectator Novus(http://antoniovigilante.blogsp ot.com).